Share

55° anniversario della morte

La santità del cardinal Schuster nell’anno sacerdotale

Quest'anno la memoria del beato Alfredo Ildefonso Schuster cade di domenica e pertanto non la si potrà celebrare. Un solenne ricordo si farà in Duomo lunedì 31 agosto, con una messa presieduta da mons. Angelo Mascheroni, alle ore 17,30. Alla messa seguirà la visita al sepolcro con l'omaggio al beato

di Ennio APECITI Redazione

28 Agosto 2009

Domenica 30 agosto 2009: come celebrare i cinquantacinque anni della morte del beato cardinale Schuster? Il fatto stesso che siamo qui ancora a parlarne, è un segno della sua santità, perché come amava ripetere papa Giovanni Paolo II, la caratteristica dei santi è la loro costante attualità, la capacità singolare che hanno di parlare a ogni generazione.
Quest’anno mi pare che il cardinale Schuster ci possa aiutare a vivere l’Anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI in occasione dei centocinquant’anni della morte del santo Curato d’Ars. Schuster ne avrebbe gioito, perché durante il suo episcopato propose ai suoi preti la figura del “nostro novello Curato d’Ars”, che – a voler essere rigorosi – “precede” e anticipa il parroco francese. Domenica 30 agosto 2009: come celebrare i cinquantacinque anni della morte del beato cardinale Schuster? Il fatto stesso che siamo qui ancora a parlarne, è un segno della sua santità, perché come amava ripetere papa Giovanni Paolo II, la caratteristica dei santi è la loro costante attualità, la capacità singolare che hanno di parlare a ogni generazione.Quest’anno mi pare che il cardinale Schuster ci possa aiutare a vivere l’Anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI in occasione dei centocinquant’anni della morte del santo Curato d’Ars. Schuster ne avrebbe gioito, perché durante il suo episcopato propose ai suoi preti la figura del “nostro novello Curato d’Ars”, che – a voler essere rigorosi – “precede” e anticipa il parroco francese. L’esempio: il parroco di Chiuso Si tratta del “beato” Serafino Morazzone, il parroco di Chiuso (Lecco), celebrato dallo stesso Alessandro Manzoni nella prima stesura dei Promessi Sposi, il Fermo e Lucia. Era nato nel 1747 e dal 1773 al 1822 (per 49 anni!) fu fedele parroco del piccolo paese di Chiuso, che, quando vi arrivò contava circa 200 abitanti e non crebbe di molto in seguito.Il cardinale Schuster era rimasto affascinato dalle descrizioni tramandate su don Serafino: «Questo parroco fu uno di quei sacerdoti straordinari che suscita di tanto in tanto il Signore e che sempre fiorirono in tutti i secoli. Fatto secondo il cuore del Signore, ogni sua opera e ogni suo discorso dirigeva alla santificazione di se stesso e del suo prossimo. Una profonda umiltà, una specchiata pietà e un’intensa carità ugualmente rivolta alla morale e religiosa educazione della gioventù, cui si aggiungono rigorosi digiuni ed anche severe penitenze».Era il suo ideale di sacerdote, quello che propose con l’esempio della sua vita e l’insegnamento instancabile. La santità sacerdotale Non è un caso che Schuster intitolò la sua prima Lettera Pastorale (21 luglio 1929) alla diocesi, Immolor super sacrificium et obsequium fidei vestrae: «Eccomi a voi, per immolarmi sul sacrificio vostro e sul divino servizio della vostra fede». Questa era la sua convinzione: doveva immolarsi; consumarsi nel dono totale di sé al servizio della Chiesa che gli era stata affidata.Era quanto chiedeva ai sacerdoti, ai quali indirizzò una lettera speciale, una settimana dopo la sua ordinazione episcopale (28 luglio 1929): «Coloro che partecipano del sacerdozio secondo l’ordine di Melchisedech, debbono offrirsi a Dio come vittime: essi che sull’altare operano i misteri della Passione del Signore, debbono manifestare i medesimi misteri anche con la loro vita».Schuster non si stancò mai di ripetere quest’esortazione ai suoi preti. Nel primo discorso del suo primo Sinodo diocesano (1931) gridò con la sua flebile voce: «La santità sacerdotale: ecco la prima condizione indispensabile perché il Clero sia di gloria a Dio e fruttuoso agli uomini».Sappiamo che ci credeva e che l’invito alla santità fu il suo “testamento” ai seminaristi del Seminario di Venegono, pochi giorni prima di morire, fu «un invito alla santità», perché «il diavolo non ha paura dei nostri campi sportivi e dei nostri cinematografi: ha paura, invece, della nostra santità». Don Gnocchi e don Monza testimoni d’amore Desiderava essere santo e desiderava sacerdoti santi. É bello pensare all’attenzione che ebbe verso i due sacerdoti beati che costellano il suo episcopato, il beato don Luigi Monza e il beato (tale sarà del prossimo 25 ottobre) don Carlo Gnocchi. Li avrebbe preferiti “parroci”, poiché questo era il suo modello di prete, ma rispettò sempre, anzi sostenne, le loro scelte di carità (le Piccole Apostole della carità e La Nostra Famiglia, per il primo, la Pro Juventute per don Carlo). Lo fece perché coglieva nel loro cuore – come possono fare solo i Grandi – quel fuoco d’amore che bruciava anche il suo cuore, perché santi si è non per quanto si fa, ma per come si ama. – – Le ultime ore del Beato nel ricordo del cardinal Colombo (https://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2009/schuster_2008.pdf)