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Il dolore innocente

«La scienza è un dono dell’amore infinito»

Ennio APECITI responsabile Servizio per le Cause dei santi Redazione

12 Ottobre 2009

«Non è anche la scienza un dono dell’amore infinito?». Fu questa la domanda che si posero monsignor Aldo Del Monte, vescovo di Novara, e l’amico don Carlo. Questi rispose che «la scienza, coniugata con la carità, deve impegnarsi nella lotta per la vita. (Così) la riabilitazione, la medicina curativa, l’assistenza, l’accoglienza, la ricerca e la difesa della vita assumono un senso nuovo». Fu con questa convinzione che don Carlo seppe coniugare l’invito ai mutilatini a offrire il loro dolore innocente nel calice della Messa e quello ai medici ed agli scienziati perché sviluppassero tutto quanto è possibile all’uomo per lenire il dolore: «Sanare il dolore non è soltanto un’opera di filantropia, ma è un’opera che appartiene strettamente alla redenzione di Cristo […] in quanto tenta di restaurare l’armonia, l’ordine e il benessere anche fisico di cui l’uomo godeva prima della caduta di Adamo ed alla quale ora tende con tutte le forze del suo essere. La cura, pertanto, degli ammalati, le arti della medicina, la carità verso i sofferenti, la lotta contro tutte le cause dell’umana sofferenza sono una vera e continua redenzione materiale, che fa parte della redenzione “totale” di Cristo e di essa ha tutto l’impegno e la dignità». Saper dare speranza a chi soffre; saper dare amore a chi al dolore soccombe (o forse soccombe all’insidia del dolore: la solitudine, l’abbandono, la paura della morte che attanaglia anche i vivi) questo volle fare don Carlo. Ai profeti di morte e d’egoismo, don Carlo oppose la vera e rivoluzionaria risposta: chi crede nell’uomo, ne ama la vita, e la gioia. «Non è anche la scienza un dono dell’amore infinito?». Fu questa la domanda che si posero monsignor Aldo Del Monte, vescovo di Novara, e l’amico don Carlo. Questi rispose che «la scienza, coniugata con la carità, deve impegnarsi nella lotta per la vita. (Così) la riabilitazione, la medicina curativa, l’assistenza, l’accoglienza, la ricerca e la difesa della vita assumono un senso nuovo». Fu con questa convinzione che don Carlo seppe coniugare l’invito ai mutilatini a offrire il loro dolore innocente nel calice della Messa e quello ai medici ed agli scienziati perché sviluppassero tutto quanto è possibile all’uomo per lenire il dolore: «Sanare il dolore non è soltanto un’opera di filantropia, ma è un’opera che appartiene strettamente alla redenzione di Cristo […] in quanto tenta di restaurare l’armonia, l’ordine e il benessere anche fisico di cui l’uomo godeva prima della caduta di Adamo ed alla quale ora tende con tutte le forze del suo essere. La cura, pertanto, degli ammalati, le arti della medicina, la carità verso i sofferenti, la lotta contro tutte le cause dell’umana sofferenza sono una vera e continua redenzione materiale, che fa parte della redenzione “totale” di Cristo e di essa ha tutto l’impegno e la dignità». Saper dare speranza a chi soffre; saper dare amore a chi al dolore soccombe (o forse soccombe all’insidia del dolore: la solitudine, l’abbandono, la paura della morte che attanaglia anche i vivi) questo volle fare don Carlo. Ai profeti di morte e d’egoismo, don Carlo oppose la vera e rivoluzionaria risposta: chi crede nell’uomo, ne ama la vita, e la gioia.