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Commento

Verso l’alto: dai simboli alla verità, una riflessione aspettando il Natale

di Cristina DOBNER carmelitana scalza Redazione

17 Dicembre 2010

La storia dell’umanità, di ogni popolo e quindi di ogni persona, non è estranea a Dio, indubbiamente mi riferisco non al Motore immobile di Aristotele, impassibile e rinchiuso in se stesso, ma a quel Dio che ha scelto, per infinito amore, un popolo, Israele, e una lingua, l’ebraico, per rivelare il suo Nome nel Roveto Ardente a tutti indistintamente.
Da quel momento, in tutto lo scorrere dei tempi, le fiamme che non bruciano ma continuano ad ardere, hanno lambito ogni cultura e fatto scaturire tradizioni, usanze, radicate nella sensibilità dei popoli che s’interrogavano sul valore della loro esistenza, del loro peregrinare nel mondo, del loro scomparire e si rivolgevano a Dio.
Una forza che si espandeva, secolo dopo secolo, ma attendeva un preciso momento del tempo e della storia e ci avrebbe fatto capire che la vera forza di Dio non è l’imposizione ma l’impotenza e la debolezza di un neonato: Gesù Cristo che nasce in carne umana.
In Europa questo misterioso evento lo esprimiamo anche con l’albero di Natale, quell’abete sempreverde che campeggia nelle nostre piazze e nelle nostre case, le profuma e le illumina.
Il Dio che si è rivelato ha accolto le espressioni antiche delle civiltà che anelavano al rinnovarsi della vita e lo leggevano nell’albero sempreverde, nell’albero cosmico indiano, nel pilastro cosmico della mitologia nordica, nei miti dell’albero in tutta la mitologia degli antichi padri: alberi innalzati, che uomini e donne adornavano e rendevano ricchi di frutti e di simboli.
Nacque così anche il simbolo cristiano in cui però abita il mistero spirituale di Dio e Signore Gesù Cristo: “L’albero della vita per coloro che l’afferrano”, albero della Croce che salva.
Dopo il solstizio d’inverno del 21 dicembre, gradatamente le ombre diminuiscono e cedono alla luce, la festa del 25 dicembre, del Sole invitto dei pagani, che l’imperatore Aureliano volle celebrare, affermava proprio questo imporsi della luce che però conoscerà la sua fine, il suo estinguersi. Egli, la Luce, invece nasce proprio in questi giorni per essere il Sole di giustizia che non conoscerà tramonto e risplenderà sempre quale Luce del mondo.
I “sacri misteri”, le sacre rappresentazioni che anticamente si svolgevano sul sagrato delle chiese, durante l’Avvento sceglievano come loro tema la creazione narrata nel libro della Genesi, con il suo giardino in cui il Signore passeggiava, si collocava quindi a riproporre la scena biblica un abete con appesi dei frutti, la cui forma simmetrica e rivolta verso l’alto si protendeva verso l’alto, verso Dio.
Successivamente la sacra rappresentazione cessò ma rimase il segno dell’abete decorato e illuminato.
Oggi è ridotto ad oggetto profano o profanato quando viene semplicemente inghirlandato e addobbato in una fantasmagoria di colori e di regali, tutti riconducibili ad un evidente business.
Si può invece ritrovare l’antico e autentico simbolismo, conservando tutto il bisogno della persona umana ad esprimersi nella gioia: Egli, il Salvatore, squarcia le tenebre perché è la Luce che viene nel mondo, non annunciato dalle miniluci, ma da 12 candele, come 12 sono le porte della città santa di Gerusalemme, 12 sono gli apostoli che traggono la luce dalla Luce che si è accesa nella storia del mondo.
Il dono è Egli stesso che rimarrà sempre presente ai suoi e a tutta la storia nel segno eucaristico, per questo l’abete che prediligo non è quello rigurgitante di doni, di palline di vetro soffiato, di puntali straordinari, anche se le strenne poste ai suoi piedi, rappresentano un momento di calda familiarità e di letizia, ma quello che dai suoi rami fa pendere il pane, nella sua forma tonda di frammento circolare, appeso con il filo rosso, segno della sua donazione completa, fino allo spargimento del sangue.
La corona d’Avvento ha preparato lo spirito a questa accoglienza: un cerchio sempreverde di abete che vuole dire la speranza, la vita, ornato di quattro ceri.
Ogni domenica se ne illumina uno, mentre si prega e si canta Maria, la Madre in attesa, percorrendo tutti i passi della pedagogia divina nel preparare la strada al Salvatore: il cero dei Profeti, coloro che lo annunciano da lontano e lo hanno presentano a chi, con cuore dilatato, aveva sete della Parola di Dio; il cero di Betlemme: il “dove” Egli è nato, piccolo neonato che racchiude in sé tutta la potenza della salvezza; il cero dei pastori: di coloro che sono stati attratti e hanno riconosciuto un evento misterioso; il cero degli Angeli: che festosi cantano la gloria del Dio fatto Uomo.
Sempre luce che si fa luce sacra e conduce, progressivamente, a riconoscere la Luce, non affidandosi preda dei nuovi politeismi che serpeggiano nella nostra cultura, come sta insegnando Benedetto XVI, quindi “a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Egli, la Luce del mondo, che vuole risplendere e inondare ciascuno e ciascuna di noi, business permettendo. La storia dell’umanità, di ogni popolo e quindi di ogni persona, non è estranea a Dio, indubbiamente mi riferisco non al Motore immobile di Aristotele, impassibile e rinchiuso in se stesso, ma a quel Dio che ha scelto, per infinito amore, un popolo, Israele, e una lingua, l’ebraico, per rivelare il suo Nome nel Roveto Ardente a tutti indistintamente.Da quel momento, in tutto lo scorrere dei tempi, le fiamme che non bruciano ma continuano ad ardere, hanno lambito ogni cultura e fatto scaturire tradizioni, usanze, radicate nella sensibilità dei popoli che s’interrogavano sul valore della loro esistenza, del loro peregrinare nel mondo, del loro scomparire e si rivolgevano a Dio.Una forza che si espandeva, secolo dopo secolo, ma attendeva un preciso momento del tempo e della storia e ci avrebbe fatto capire che la vera forza di Dio non è l’imposizione ma l’impotenza e la debolezza di un neonato: Gesù Cristo che nasce in carne umana.In Europa questo misterioso evento lo esprimiamo anche con l’albero di Natale, quell’abete sempreverde che campeggia nelle nostre piazze e nelle nostre case, le profuma e le illumina.Il Dio che si è rivelato ha accolto le espressioni antiche delle civiltà che anelavano al rinnovarsi della vita e lo leggevano nell’albero sempreverde, nell’albero cosmico indiano, nel pilastro cosmico della mitologia nordica, nei miti dell’albero in tutta la mitologia degli antichi padri: alberi innalzati, che uomini e donne adornavano e rendevano ricchi di frutti e di simboli.Nacque così anche il simbolo cristiano in cui però abita il mistero spirituale di Dio e Signore Gesù Cristo: “L’albero della vita per coloro che l’afferrano”, albero della Croce che salva.Dopo il solstizio d’inverno del 21 dicembre, gradatamente le ombre diminuiscono e cedono alla luce, la festa del 25 dicembre, del Sole invitto dei pagani, che l’imperatore Aureliano volle celebrare, affermava proprio questo imporsi della luce che però conoscerà la sua fine, il suo estinguersi. Egli, la Luce, invece nasce proprio in questi giorni per essere il Sole di giustizia che non conoscerà tramonto e risplenderà sempre quale Luce del mondo.I “sacri misteri”, le sacre rappresentazioni che anticamente si svolgevano sul sagrato delle chiese, durante l’Avvento sceglievano come loro tema la creazione narrata nel libro della Genesi, con il suo giardino in cui il Signore passeggiava, si collocava quindi a riproporre la scena biblica un abete con appesi dei frutti, la cui forma simmetrica e rivolta verso l’alto si protendeva verso l’alto, verso Dio.Successivamente la sacra rappresentazione cessò ma rimase il segno dell’abete decorato e illuminato.Oggi è ridotto ad oggetto profano o profanato quando viene semplicemente inghirlandato e addobbato in una fantasmagoria di colori e di regali, tutti riconducibili ad un evidente business.Si può invece ritrovare l’antico e autentico simbolismo, conservando tutto il bisogno della persona umana ad esprimersi nella gioia: Egli, il Salvatore, squarcia le tenebre perché è la Luce che viene nel mondo, non annunciato dalle miniluci, ma da 12 candele, come 12 sono le porte della città santa di Gerusalemme, 12 sono gli apostoli che traggono la luce dalla Luce che si è accesa nella storia del mondo.Il dono è Egli stesso che rimarrà sempre presente ai suoi e a tutta la storia nel segno eucaristico, per questo l’abete che prediligo non è quello rigurgitante di doni, di palline di vetro soffiato, di puntali straordinari, anche se le strenne poste ai suoi piedi, rappresentano un momento di calda familiarità e di letizia, ma quello che dai suoi rami fa pendere il pane, nella sua forma tonda di frammento circolare, appeso con il filo rosso, segno della sua donazione completa, fino allo spargimento del sangue.La corona d’Avvento ha preparato lo spirito a questa accoglienza: un cerchio sempreverde di abete che vuole dire la speranza, la vita, ornato di quattro ceri.Ogni domenica se ne illumina uno, mentre si prega e si canta Maria, la Madre in attesa, percorrendo tutti i passi della pedagogia divina nel preparare la strada al Salvatore: il cero dei Profeti, coloro che lo annunciano da lontano e lo hanno presentano a chi, con cuore dilatato, aveva sete della Parola di Dio; il cero di Betlemme: il “dove” Egli è nato, piccolo neonato che racchiude in sé tutta la potenza della salvezza; il cero dei pastori: di coloro che sono stati attratti e hanno riconosciuto un evento misterioso; il cero degli Angeli: che festosi cantano la gloria del Dio fatto Uomo.Sempre luce che si fa luce sacra e conduce, progressivamente, a riconoscere la Luce, non affidandosi preda dei nuovi politeismi che serpeggiano nella nostra cultura, come sta insegnando Benedetto XVI, quindi “a un qualsiasi dio, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; a quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore spinto sino alla fine, in Gesù Cristo crocifisso e risorto”. Egli, la Luce del mondo, che vuole risplendere e inondare ciascuno e ciascuna di noi, business permettendo.