Sirio 26-29 marzo 2024
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Milano

«Ascoltare la proposta cristiana che sconfigge la morte, senza adeguarsi al pensiero corrente»

Al Centro culturale Asteria l’Arcivescovo ha incontrato studenti di licei e istituti superiori cittadini, dialogando con loro sul senso dell'esistenza e del suo termine terreno

di Annamaria Braccini

18 Gennaio 2019

Oltre 200 ragazzi delle scuole superiori, l’Arcivescovo di Milano, il tema del vivere e del morire affrontato per più di due ore, anche con un serrato scambio di domande e risposte. La mattinata promossa al Centro culturale Asteria non ha tradito le aspettative.

Socrate e Gesù

Atteso da studenti, docenti, accompagnatori e formatori, provenienti da sei diversi istituti superiori e licei, dopo il saluto introduttivo di madre Giulia Entrade, direttrice dell’Asteria”, l’Arcivescovo ricorre subito a una metafora per delineare il tema dell’incontro, “E se non fossimo tutti condannati a morte?”. Metafora che pare una favola, ma non lo è. «Nel paese chiamato Pollaio – dice – vive gente allegra, che mangia bene, che ha tempo per divertirsi, che trascorre giornate tranquille, sempre uguali. A Pollaio non ci sono veri e propri cittadini, ma piuttosto gente un po’ schiava. È la città-mercato, dove si trova tutto quello che serve, si assaggiano cibi esotici, si provano sempre nuovi vestiti e prodotti. Non si possono porre troppe domande: soprattutto, quella che non si può fare riguarda dove si va a finire». Insomma, Pollaio è il paese (che conosciamo bene) in cui «il pensiero è un lusso e la libertà una inquietudine. D’altra parte, a cosa serve la libertà di fare qualsiasi cosa se non si sa cosa fare?».

Ma poi c’è Socrate, quello che l’Arcivescovo definisce il «guastafeste», che poneva domande, suggerendo che «la cosa più preziosa dell’uomo non sono le sue ricchezze, la bellezza fisica, la notorietà o il potere, ma l’anima». E naturalmente, alla fine, l’hanno condannato a morte, ma gli interrogativi, fino all’ultimo, sono proseguiti. La citazione è quella, famosissima, tratta dall’Apologia di Socrate di Platone: «Ormai è ora di andarsene, io a morire, voi a vivere: chi di noi vada verso la mèta migliore, è oscuro a tutti tranne che alla divinità».

«Si insinua l’idea che, forse, la morte non è semplicemente un’inevitabile fine di tutto, ma l’ingresso in una sorte più beata della vita – rileva l’Arcivescovo -. Si capovolge, nella grande speculazione metafisica, la prospettiva corrente: la vera vita è quella liberata dalla corporeità e dalle passioni, perché ne esiste un’altra non appiattita sulla condizione materiale. Platone sa già che il meglio è altrove». E continua: «Anche Gesù può essere considerato un guastafeste: infatti, viene condannato a morte». Eppure, proprio il Figlio dell’uomo grida contro la morte, ponendo la domanda di dove si vada a finire.

«Quando ci si confronta seriamente con la morte dell’innocente, di un bambino, sentiamo istintivamente l’interrogativo su dove sia Dio, come se non si potesse affrontare la questione senza mettere sotto processo il Signore. Invece, dovremmo chiederci come si è comportato Gesù. Dio, in Gesù, che è venuto per la vita, si rivela come Colui che si ribella contro la morte». Per questo la «vita eterna è già qui, è un amore, è un rapporto; non è un luogo, non una condizione fisica: è la relazione di Gesù con noi, la comunione, la sua presenza nella storia».

Il dialogo

Da queste ultime espressioni si avvia il dialogo con i giovani. Inizia una ragazza sottolineando come sia inutile pensare alla morte; per un altro, è invece giusto chiedersi cosa ci sia dopo la vita, ma forse la risposta non è in Dio, perché – testuale – non è Dio che ha inventato l’uomo, ma il contrario. Diretta la replica del Vescovo: «Si tratta di capire, pur nel rispetto di ogni posizione, cosa vogliamo pensare. L’idea che l’uomo venga dal nulla e sia destinato a finire nel nulla non risponde alla domanda di senso, rispetto alla quale Gesù ha indicato un percorso. Io ho buone ragioni di fidarmi: la vita del Signore dà significato a tutto. L’importante è lasciarci interrogare, ascoltando la vita, accogliendone il grido contro la morte, coltivando la speranza, senza adeguarsi al pensiero corrente. Occorre ascoltare le inquietudini, trovare risposte e condividerle in un contesto di comunità. Ma ci sono percorsi anche per le risposte. Uno dei punti irrinunciabili per me – scandisce il Pastore – è il Vangelo di Giovanni che affronta esattamente tali questioni».

Se Platone, Buddha, altri filosofi e maestri spirituali hanno riflettuto trovando proposte, il confronto con il fatto cristiano è qualcosa di radicalmente diverso: «Non è un rifugio per sconfiggere le paure, ma l’assunzione seria di domande a cui vengono date risposte di vita. Per questo non è solo una forma di riflessione, ma un’appartenenza».

Continua il dialogo: «Va bene porsi una domanda, ma sapendo che non ci sono risposte», dice un liceale, mentre un suo compagno torna sul concetto di ragione, nell’allusione al rapporto tra fede e razionalità. Risponde l’Arcivescovo: «Non ci si pongono più domande perché si è convinti che non ci siano risposte: questo è un tipico atteggiamento contemporaneo. Sono invece convinto che la risposta esista e che sia Gesù, che non è una proiezione dei miei desideri, ma una realtà, un Altro che mi parla con parole che persuadono a stabilire una relazione. La vita è relazione… La scienza spiega perché le cose funzionano in un certo modo, ma non il perché. Occorre una ragione diversa. Il pensiero, se vuole essere umano e cristiano, non si può ridurre al solo pensiero tecnico. La fede non mortifica il pensiero, ma lo aiuta a entrare in dimensioni dove deve esercitarsi come tale, mettendo alla prova la razionalità».

Infine, il “nodo” del sentirsi – o meno – amati da Dio. L’aver dato per scontato un Dio lontano ed estraneo «ci condanna allo smarrimento e alla solitudine», mentre sapere di essere amati da Dio (anche se, talvolta, vi è una divaricazione tra esserlo, appunto, e percepirlo nella nostra vita) «permette di uscire dal paese di Pollaio». «Il fatto storico di Cristo ci costringe a confrontarci – conclude -. La fede cristiana è del tutto ragionevole, perché non nasce da un pensiero arbitrario, ma da una strada di salvezza che vince la morte dando la vita per amore. Da qualsiasi parte vengano il male – è un grande enigma – o la morte, c’è una via di uscita, una speranza».