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Carlo Acutis, la santità possibile

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Cortona

Beato Carlo, intercessore nell’unica mediazione di Cristo

La Messa in rito ambrosiano nel Duomo della località toscana ha concluso il pellegrinaggio da Milano per la beatificazione di Acutis

di Emilia Flocchini

12 Ottobre 2020
Qui sopra e nella gallery, immagini della celebrazione di Cortona

Il pellegrinaggio organizzato da Duomo Viaggi per la beatificazione di Carlo Acutis è giunto ieri al termine con l’ultima tappa, ovvero la visita a Cortona. Dopo aver ammirato i capolavori del Beato Angelico e di Luca Signorelli nel Museo diocesano, i pellegrini hanno partecipato alla Messa nel Duomo di Cortona, situato sulla stessa piazza del Museo. La celebrazione si è svolta in rito ambrosiano, con i testi della VII Domenica dopo il martirio di Giovanni il Precursore.

Monsignor Benvenuto Italo Castellani, vescovo emerito di Lucca, tornato dallo scorso anno nella nativa Cortona, ora è uno dei sacerdoti in servizio al Duomo. Ha salutato così i partecipanti al pellegrinaggio: «Sono contento che ci portate la testimonianza di questa ventata giovane dello Spirito che è passata in questo vostro comparrocchiano, il Beato Carlo Acutis, a cui anch’io sono molto devoto». Ha poi aggiunto: «Mettiamo anche i nostri ragazzi, tutti, sotto la protezione di questo nuovo Beato, di questo santo ragazzo».

Don Maurizio Corbetta, parroco di Santa Maria Segreta, era il celebrante principale, affiancato dal vicario della stessa parrocchia don Matteo Baraldi, e da don Mario Bonsignori, responsabile del Servizio diocesano per la Disciplina dei Sacramenti. La sua omelia si è basata appunto sui testi della liturgia, ma anche sulle opere artistiche che lo appassionano da sempre (dal 2019 è anche assistente ecclesiastico della sezione milanese dell’Unione cattolica artisti italiani).

L’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica si riferiva a Gesù «pontefice eterno», «che totalmente condivide con noi l’umana natura» e «sta davanti» a Dio. Proprio per tale ragione, ha spiegato don Corbetta, «il mediatore fra Dio e l’uomo è lui, esattamente perché è Dio e uomo».

Ci sono almeno tre immagini artistiche capaci di sottolineare questo aspetto. Una è proprio nella Basilica Superiore di San Francesco: don Corbetta ha concelebrato, durante la beatificazione, proprio di fronte a questo affresco. In esso Adamo è raffigurato in una “mandorla” di luce, la stessa che altrove circonda la persona di Cristo. Nella cattedrale di Chartres, invece, il Creatore riveste l’uomo del suo stesso manto.

Nei mosaici della cattedrale di Monreale, infine, mentre Dio crea le varie creature, ha i sandali ai piedi. «Solo quando crea l’uomo, al sesto giorno, si toglie i sandali, perché il terreno sul quale sta è una terra santa», come fa Mosè di fronte al roveto ardente: «ha creato una creatura che è a sua immagine e somiglianza», come appunto riporta il libro della Genesi. Queste raffigurazioni ci dicono «che la forza di questa mediazione è per una esaltazione della natura umana, che sta presso Dio: i Santi sono coloro che stanno presso Dio con la loro natura umana e partecipano di questa mediazione».

A noi, qualche volta, succede di ricorrere, forse in maniera univoca, a questo o a quel Santo, a cui siamo legati da una devozione che in sé non è sbagliata: erroneo è, invece, non capire che «Gesù Cristo ha l’unica vera mediazione». Lo ricorda anche san Paolo nella lettera ai Filippesi, proclamata sempre ieri nelle chiese di Rito Romano, per la XXVIII Domenica del Tempo Ordinario, e durante la Messa della beatificazione: «Il mio Dio, a sua volta, vi colmerà di ogni vostro bisogno secondo la sua ricchezza con magnificenza, in Cristo Gesù».

Una frase del beato Carlo, «Non io ma Dio», che campeggiava sul materiale donato ai partecipanti alla veglia di sabato sera, costituisce quindi un richiamo alla realtà della santità. È come se lui, e ogni personaggio di cui la Chiesa verifica la santità, dicesse: «Non dovete arrivare a me e concludere lì l’esperienza: sono anch’io, a mia volta, uno che intercede presso colui che resta l’unico grande mediatore».

Anche nella parabola del seminatore nel Vangelo secondo Matteo, previsto dalla liturgia ambrosiana, ha colto un richiamo alla santità. «Il Signore non pretende da noi che diamo il cento per uno: ci chiede di essere semplicemente terreno buono»; quanto possiamo dare, poi, «dipende dal seme», quindi è opera di Dio.

In sostanza, la santità è «avere un cuore attento, uno sguardo puro, un orecchio che ascolta, un cuore aperto, un animo docile». Dopotutto, Gesù, al versetto 16 del tredicesimo capitolo del Vangelo di Matteo, chiama «beati» quelli che hanno occhi per vedere e orecchi per udire.

Dopo il pranzo e una sosta a Le Celle, l’eremo cortonese dove anche San Francesco passò, il pullman è ritornato a Milano. Sul finire del viaggio, don Corbetta ha annunciato che dal 1° novembre, in un altare laterale di Santa Maria Segreta, sarà esposto un dipinto del nuovo beato.