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Intervista

«Cercare un centro
che unifichi l’esperienza esistenziale»

Massimo Reichlin, filosofo dell’Università Vita-Salute San Raffaele, riassume in questo concetto la questione educativa che l’Arcivescovo ha messo a tema nella sua Nota pastorale

di Annamaria BRACCINI

13 Luglio 2014

«I giovani sono oggi esposti a una tale pluralità di stimoli e di influenze culturali che fanno obiettivamente fatica a orientarsi. In questo senso, le osservazioni che il Cardinale propone con la sua Nota pastorale, nella loro evidenza e apparente semplicità, vanno all’essenziale della questione educativa, ossia la ricerca di un centro unificante dell’esperienza esistenziale».

Massimo Reichlin, esperto di Bioetica, docente di Filosofia morale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele – e membro del Comitato Etico dell’omonimo Ospedale -, sintetizza con queste parole ciò che è sotto gli occhi di tutti, ma di cui l’Arcivescovo, ne La Comunità educante, offre una “fotografia” concreta e leggibile nei suoi punti fondamentali. E poiché Reichlin è impegnato anche nella vita ecclesiale presso la parrocchia San Benedetto ed è padre di due ragazze di 18 e 15, la sua è una riflessione a 360° sull’educazione e sulla condizione giovanile odierna.

Ai ragazzi, serve, dunque, qualcosa di certo che dia un ordine a ciò che vivono ogni giorno…
Ne sono convinto. Questo “centro” di senso non può che essere, in primis, affettivo, ma direi che è importante precisare che deve essere anche “abitato” da una pluralità di figure. Se questo centro è comunitario, è autentica “comunità”, il giovane può essere fattivamente aiutato a trovare un equilibrio tra le diverse dimensioni della vita. A questa missione è chiamata, da sempre e in modo specifico, la comunità cristiana, che indica la centralità di Cristo per ogni uomo.

Infatti il Cardinale, citando papa Francesco, parla di una «Chiesa di popolo». Fa parte di questa idea di Chiesa comunionale il compito di far rimanere nella fede specie i più giovani?
Senza dubbio questa è un’esigenza fondamentale del nostro tempo. D’altra parte Scola l’ha già detto con molta chiarezza nella Lettera pastorale Il campo è il mondo, quando, sempre seguendo l’insegnamento del Papa, ha sottolineato che occorre andare incontro all’umano con un volto di comunità genuinamente popolare. Dunque, non una Chiesa chiusa in se stessa o elitaria, ma che vuole incontrare il volto della gente, soprattutto nelle periferie esistenziali.

I giovani possono essere oggi considerati, in senso ampio, una “periferia”, proprio perché non sono sostenuti in una formazione armonica della loro personalità, non solo a livello cristiano, ma anche di buona cittadinanza?
È un luogo comune, ma non per questo è meno vero, che siamo, non solo nel nostro Paese, immersi in un momento difficile per la formazione di personalità coerenti e adulte. La famosa definizione di Zygmunt Bauman della «società liquida» coglie bene l’attuale frammentazione e la fragilità di rapporti ed esperienze. In questo senso credo che la Chiesa abbia un grande ruolo e mi piace ricordare che esiste una tradizione tipica della Chiesa ambrosiana – pensiamo solo all’oratorio estivo -, che può essere recuperata come argine a un tale trend diffuso e fonte di insegnamento virtuoso per il domani.

Il Cardinale, nella Nota, naturalmente rivolge la sua attenzione primaria alla frammentazione della vita dei nostri ragazzi, ma evidenzia anche la responsabilità degli adulti nell’essere sorgente e immagine di unitarietà della persona…
Mi pare che, in questa ottica, il testo delinei due elementi molto rilevanti: il primo è puntualizzare che il ragazzo è in rapporto con molte figure educative – i genitori, i nonni, gli insegnanti, i sacerdoti, i catechisti e, non ultimi, gli educatori sportivi -, ma che molto raramente si percepisce “da” e “in” questa pluralità una proposta unitaria. Inoltre, è ancora più importante che il Vescovo affermi che la Comunità educante è tale solo se si lascia educare dalla stessa sua opera di educazione.