Share

Intervista

«Chiese lombarde chiamate
a rinvigorire il cattolicesimo popolare»

Il cardinale Scola evidenzia i temi al centro della visita “ad limina” che si conclude sabato 16 febbraio con l’udienza dal Santo Padre: «Nella nostra terra il senso di fede è vivo nel popolo di Dio, ma occorre recuperare la centralità di Cristo nell’esistenza quotidiana»

di Virginia BRAMBILLA

15 Febbraio 2013

È l’attenzione alla dimensione missionaria uno dei fiori all’occhiello dell’Arcidiocesi di Milano, testimoniata dal grande numero di missionari come pure di laici, consacrati e consacrate che ogni anno partono alla volta di paesi lontani. È questo uno degli aspetti su cui punta maggiormente il cardinale Angelo Scola per tratteggiare a Papa Benedetto XVI il quadro della situazione in occasione della visita ad limina, in corso di svolgimento fino al 16 febbraio. Si tratta degli incontri previsti in calendario ogni cinque anni con il Pontefice e con i capi dicastero della Curia romana per riferire ombre e luci della regione ecclesiastica. E l’analisi – tiene a precisare l’Arcivescovo di Milano che guida la delegazione di dieci presuli lombardi – non può che partire dalle positive ricadute della visita del Papa dello scorso anno.

«Penso che soprattutto dopo la venuta del Santo Padre a Milano in occasione dell’Incontro mondiale delle famiglie, da considerare una vera e propria visita pastorale di Benedetto XVI alla diocesi, la Chiesa di Milano e anche le altre Chiese lombarde, ognuna secondo modalità proprie, possano dirsi confermate in quello che la provvidenza chiede a noi cristiani in questo tempo di grandi mutamenti. Ossia, il cattolicesimo popolare, ancora abbastanza radicato nelle nostre diocesi, domanda una riscoperta in profondità del rapporto personale comunitario con il Signore. Tutto questo affinché la nostra vita quotidiana, vissuta nella prospettiva della definitività, possa essere già cambiata dalla compagnia di Cristo che la Chiesa ci assicura. Penso in particolare al matrimonio, alla famiglia e agli affetti, al lavoro, al riposo, alla condivisione degli ultimi, all’edificazione di una società giusta. Quindi una riscoperta della centralità di Cristo in questo Anno della fede per rinvigorire questo cattolicesimo popolare, sempre meno convenzionale e sempre più convinto, e per la comunicazione libera e gioiosa a tutti i nostri fratelli della bellezza, della verità della sequela di Gesù. Mi sembrano questi i nodi che accomunano  in un impegno ineludibile le Chiese europee oggi e anche, con le loro peculiari caratteristiche, le Chiese lombarde».

Quali i nodi sul tappeto e di contro gli aspetti che rappresentano un punto a favore per l’Arcidiocesi?
I nodi sono riconducibili alla grande diagnosi del venerabile Paolo VI, quando ancora era a Milano, in occasione di quel gesto formidabile che fu la missione alla città: cioè la frattura che tutti noi cristiani tendenzialmente viviamo tra la fede e la vita. Questo è evidente in particolare nelle generazioni di mezzo, che non sono contrarie al senso cristiano della vita, ma stentano a vedere il nesso tra la fede e la sua manifestazione: per esempio la partecipazione all’atto fondamentale dell’eucaristia domenicale, l’accostarsi alla confessione, la preghiera quotidiana… Il nesso tra queste espressioni vive della fede e la fatica dell’esistenza quotidiana, la fatica nel vivere autenticamente l’amore, la fatica nel lavoro. In pratica, tutti gli ambiti dell’esistenza umana. Quindi, c’è bisogno di testimoni autentici, di santi capaci di mostrare questa unità di vita, di far capire che Cristo ha a che fare con l’esistenza quotidiana perché immette nel quotidiano, fin da ora, la prospettiva definitiva che durerà sempre, la prospettiva di una eternità che non è intesa come un limbo astratto che verrà dopo la morte, ma che è stata anticipata dall’incarnazione di Gesù e che la vita della comunità cristiana ci consente già adesso di sperimentare e di toccare con mano. Da questo punto di vista sono tanti gli elementi di ricchezza che nella grande diocesi di Milano risultano evidenti, ma il più importante di tutti è, a mio avviso, il senso di fede del popolo di Dio. Lo vedo andando nelle parrocchie, celebrando con la gente, ascoltandoli, salutandoli, sentendo i sacerdoti dei vari decanati. Soprattutto nei momenti centrali della vita, come il battesimo dei figli, la confermazione, la prima comunione, il matrimonio per chi lo prende sul serio, l’attenzione al problema educativo, il momento della prova e del dolore. Questo senso della fede e questo riferimento ai valori cristiani è ancora molto evidente. E si esprime soprattutto nella grande quantità di opere di condivisione del bisogno e anche in un’attenzione particolare alla cultura. Anche se direi alla cultura come esperienza di vita che sa dare le ragioni del proprio credere.