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Dall’accoglienza all’integrazioneIL DIVERSO È MIO FRATELLO

5 Giugno 2008

di Augusto Casolo
Collaboratore del Centro diocesano per la cultura e il dialogo

Il ministero milanese del cardinal Martini ha coinciso, a livello temporale, con una stagione di grandi cambiamenti nell’assetto socio-culturale della metropoli lombarda. L’argomento è trattato in molti passaggi di scritti e messaggi, che testimoniano della chiarezza di analisi sullo sviluppo storico della società ambrosiana degli ultimi vent’anni.

C’è un’espressione di Martini che esemplifica tutto ciò: «Occorre che dall’accoglienza si sappia passare all’integrazione» (23 dicembre 2000, al Convegno internazionale migrazioni). Dagli anni Ottanta, la geografia umana del nostro Paese si modifica, acquisendo nuove presenze etniche e nuove soggettività culturali.

Non che l’ambiente milanese non conoscesse l’immigrazione, ma non in queste proporzioni e non con queste provenienze, legate soprattutto a guerra, fame e sottosviluppo. La frase citata prospetta le due direzioni: il farsi prossimo e la ricerca della “convivialità” delle culture.

E’ in questo modo che viene indicato il dover essere della Chiesa nel nuovo contesto. Non è inutile sottolineare come non venga invaso il campo della polis che, legiferando e organizzandosi, definisce i contorni della convivenza. Lo ricordava il Cardinale nella lettera di presentazione del Sinodo 47°: «Dobbiamo imitare la Chiesa apostolica che non si oppose alle istituzioni ufficiali e necessarie per l’organizzazione della società; né pretese creare strutture parallele o sostitutive…».

E’ lo “spirito evangelico” che chiama a immettere nel mondo civile alcuni “valori/verità” irrinunciabili come beni per tutti: la persona umana, l’uguaglianza di tutti, la fratellanza, la solidarietà, la libertà di coscienza, la ricerca della verità, la giustizia, la possibilità di conversione e di salvezza, la pace e una visione globale della vita. Il richiamo è fondamentale proprio perché la comunità apostolica si è dovuta confrontare con mondi culturali diversi e compresenti, oltre che con popolazioni etnicamente diversificate: giudei, greci e romani.

L’approccio così impostato, fa giustizia di alcune letture riduttive e fuorvianti della “linea” martiniana: la multiculturalità e multirazzialità sono un dato di fatto e non un assoluto valore in se stesso. Chi crede che il modello di riferimento sia la babele laica e la confusione sincretista, non ha colto tutto lo sforzo della comunità ecclesiale di questi anni, sotto la guida del vescovo, per creare “pentecostalità” dove le identità sono ben affermate e riconosciute e dove la diversità religiosa non viene annullata da riallineamenti fondati sul relativismo .

Nel Discorso alla città del 1990, nella vigilia di Sant’Ambrogio, il Cardinale è entrato nel vivo del dibattito su accoglienza e integrazione, su rispetto delle identità e riferimento comune alle regole esistenti. In tale contesto, sfidando correnti garantiste che, inconsciamente o no, alimentano conflitto fra minoranze e maggioranze, egli parlò della necessità «di educare i nuovi venuti a inserirsi armonicamente nel tessuto della nazione ospitante, ad accettare le leggi e gli usi fondamentali, a non esigere dal punto di vista legislativo trattamenti privilegiati…».

La parola educazione suscitò allora notevoli proteste, in particolare in area musulmana; purtroppo tali reazioni non erano suffragate da una conoscenza dell’intero testo! Proseguiva il documento: «Occorre elaborare un cammino verso l’integrazione multirazziale che tenga conto della reale integrabilità dei diversi gruppi etnici. Perché si abbia una società integrata è necessario assicurare l’accettazione e la possibilità di assimilazione di un nucleo minimo di valori che costituiscono la base di una cultura, come ad esempio i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e il principio giuridico dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge».

L’impegno del magistero dell’Arcivescovo in tema di dialogo, incontro, confronto è estremamente ampio e, attraverso varie tappe significative quali l’incontro del ’93 Uomini e religioni promosso dalla Comunità di S. Egidio in collaborazione con la diocesi, ha trovato il suo suggello nell’incontro interreligioso dell’anno giubilare, nel ricordo di Assisi ’86, conclusosi con un appello alla città per un reciproco coinvolgimento nel cammino di pace e comprensione.

Non si nascondono, fra i rinnovati interventi in materia, le preoccupazioni per «pericolose contrapposizioni»: c’è l’auspicio che «la compresenza di diverse etnie, tradizioni, culture e religioni non si risolva in un’integrazione massificante ad opera del più forte sul più debole… ma anzi in una convivenza pacifica e unita, mirata alla convivialità delle culture».

Quest’ultima pregnante locuzione è vista come la chiave di trasformazione di «ogni tentazione di contrapporsi in una gara di mutuo servizio e accoglienza tra culture diverse, in una sintesi a misura d’uomo e di cittadini, in una grande realtà dove possano trovare casa tante piccole nazioni e culture».

Gli scenari che si aprono all’indomani del tragico 11 settembre 2001 sembrano indurre conferma di quelle interpretazioni della storia attuale, che vedono nelle rivendicazioni etniche quasi delle bombe innescate e nella crescente diffusione delle deformazioni integraliste della religiosità un nuovo arsenale esplosivo: pur nella consapevolezza di una cattolicità minoritaria, la prospettiva del cardinal Martini continua a radicarsi nella ferma convinzione del dialogo, non come elemento strumentale, ma essenziale della testimonianza e come luogo necessario al permanere nella speranza.