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11 aprile

Diaconi permanenti, quale formazione?

Sulla preparazione al Ministero il convegno regionale in programma nel Seminario di Como, dove sono attesi, oltre agli ordinati, anche i candidati e gli aspiranti provenienti dalla Lombardia. Interventi di monsignor Stucchi e monsignor Delpini

di Enrica LATTANZI

5 Aprile 2015

Si svolgerà sabato 11 aprile, presso il Seminario diocesano di Como, il convegno regionale lombardo dei diaconi permanenti. L’appuntamento è giunto alla sua undicesima edizione. Il tema che verrà approfondito sarà «La formazione nel Ministero diaconale – Ascoltare Cristo per annunciarlo». Al momento sono oltre 150 gli iscritti.

La giornata avrà inizio alle 8.30 per concludersi nel pomeriggio, alle 17. Porteranno il loro saluto, con un momento di riflessione, in apertura monsignor Luigi Stucchi, Vescovo ausiliare della Diocesi di Milano, e in chiusura monsignor Mario Delpini, Vicario generale della Diocesi di Milano. A condurre i lavori della giornata, invece, con la relazione del mattino e la sintesi pomeridiana dopo il confronto fra i presenti suddivisi in gruppi, sarà il vescovo di Como, monsignor Diego Coletti.

In Lombardia si contano 260 diaconi permanenti. Circa la metà opera nella Diocesi di Milano (qui gli ordinati sono 139). Segue Brescia, con i suoi 53. Ma chi è il diacono permanente? «È una persona – spiega il diacono Bruno Pravato, responsabile con il diacono Diego Busi dell’organizzazione del convegno – che ha ricevuto una vocazione particolare al servizio della comunità e, tutto questo, senza mai mettere in discussione o in secondo piano la propria famiglia e gli impegni lavorativi, ma cercando di conciliare il tutto, visto che, proprio dall’insieme e dall’armonizzazione di tali impegni, nasce la ricchezza di questo cammino». Molti diaconi permanenti, infatti, sono sposati. Dopo l’ordinazione diaconale, in caso di vedovanza, non possono risposarsi. Chi è celibe, dopo essere diventato diacono, non può contrarre il matrimonio. «Quell’aggettivo “permanente”, che si accompagna al nostro essere “diacono” indica una decisione definitiva, che ti accompagna per tutta la vita» sottolinea Pravato.

Ma la famiglia come vive una scelta così particolare? «Il ruolo della moglie è fondamentale – risponde -, tanto che senza il suo placet il percorso nemmeno inizia. È una scelta condivisa: la grazia del sacramento dell’ordinazione si basa e si alimenta sulla grazia del sacramento del matrimonio». «La nostra – specifica Stefania Messaggi, moglie di Bruno Pravato – è una famiglia assolutamente normale. Da parte mia collaboro nella condivisione e nel sostegno delle scelte. Vi è una complementarità che si amplifica, grazie pure alla sensibilità femminile, che può aiutare a leggere situazioni e contesti». «Anche i figli – osserva ancora Pravato – vivono la vocazione del padre con la massima libertà e le loro domande si affrontano mano a mano che si presentano. Personalmente non abbiamo mai avuto grossi problemi, anche perché, da sempre, educhiamo i figli nel solco della fede».

Per quanto riguarda il percorso verso l’ordinazione, è il parroco della comunità di riferimento a presentare al Vescovo il futuro candidato al diaconato. Ed è il Vescovo a valutare l’ammissibilità della domanda. Dopo due anni di discernimento, con l’assenso della moglie, se sussistono tutte le condizioni necessarie, si avvia il cammino di formazione, che prevede anche la frequenza del corso di studi presso l’Istituto superiore di Scienze religiose. In Lombardia sono 84 le persone in formazione.

«Il diacono – aggiunge Diego Busi – è uno stretto collaboratore del Vescovo e dei sacerdoti. Si dice che i diaconi siano “gli occhi e le orecchie” per il clero diocesano, chiamati a fare da “ponte” verso la comunità. Il diaconato è, per eccellenza, il ministero della “carità” e della “parola”, ma l’impegno è esteso a tutti gli ambiti pastorali, dalla liturgia alla catechesi, dall’accompagnamento delle famiglie, all’impegno sociale, fino all’attenzione per i giovani o all’Iniziazione cristiana».

Perché per il convegno dell’11 aprile si è scelto proprio il tema della formazione? «Perché è un’esigenza che sentiamo molto forte – riflette ancora Busi -. La vita pastorale è sempre più articolata, la parrocchia esprime necessità e richieste complesse, sotto tanti punti di vista. Senza dimenticare le nuove forme di collaborazione che nascono con le Comunità pastorali. La formazione, dunque, è indispensabile per riuscire a dare risposte adeguate. Il diacono sente innata la chiamata alla corresponsabilità: per questo è essenziale la collaborazione con il parroco, con la Diocesi, per la creazione di percorsi condivisi, mettendosi alla prova e valutando il proprio modo di operare. Si è sempre in discernimento e non si è mai arrivati».