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Triuggio

Fede, cultura e politica:
un «rapporto intrinseco»

Al Consiglio presbiterale riunitosi la settimana scorsa a Villa Sacro Cuore l’Arcivescovo ha rilanciato la necessità dell’impegno sociale dei cristiani

di Pino NARDI

26 Marzo 2012

«Il rapporto intrinseco tra fede, cultura e politica è il punto centrale. E l’inevitabile dualità del nostro io e pluralità delle nostre comunità non deve diventare dualismo e frammentazione. Bisogna in modo assoluto che la dimensione socio-politica, se è intrinseca alla logica incarnatoria della rivelazione cristiana, come dice molto bene Christifideles laici al numero 14 (anche se non mi pare che la teologia abbia lavorato molto su questo punto), se è una parte integrante allora questa intrinsecità si deve vedere, altrimenti passa un’immagine riduttiva delle fede stessa». Il cardinale Scola sta riflettendo davanti ai membri del Consiglio presbiterale, riunito a Triuggio lunedì e martedì scorso. La questione è di quelle spinose: la formazione all’impegno socio-politico. Un cammino che parte da lontano, perchè la Chiesa ambrosiana è impegnata su questi temi da almeno 25 anni, dal convegno “Farsi prossimo” e dalle scuole di formazione nate subito dopo e rilanciate negli scorsi anni.

L’attenzione educativa a formare una matura coscienza politica, tuttavia, deve vedere costantemente la comunità cristiana impegnata a tutti i livelli. Cercando di superare divisioni. «La legittimità di opinioni diverse in questo ambito non annulla il fatto di principi in cui la diversità di opinioni non è pertinente – continua il Cardinale -. Opinioni diverse che, anziché diventare fattori di confronto e di giudizio sulla storia e sulla situazione presente, diventano fattori di estraneazione e di conflitto».

A questo proposito nel Consiglio si è ragionato anche sull’atteggiamento dei sacerdoti. «La triplice fisionomia rivelata dal documento circa il comportamento dei preti – “non s’interessano, sono neutri, sono interessati” – richiede un aggiustamento e approfondimento perché, come qualcuno ha richiamato citando i documenti del Magistero, la responsabilità dei preti non è uguale a quella dei laici in quest’ambito. C’è una responsabilità educativa e questa o è del concreto o non lo è. La questione “formiamo dando dei principi che poi la gente applicherà”, è una visione superata dato che noi siamo gettati nella realtà e facciamo esperienze. E, dove la realtà fa delle domande, noi dobbiamo dare una risposta sistematica e critica».

È necessario però un rilancio nella formazione dei preti: «Anche la dottrina sociale deve passare attraverso l’approfondimento e la proposta che ne facciamo. Non è un capitolo a sè: nei nostri seminari e istituti di teologia i saperi si demarcano, cosa necessaria, ma non dovrebbero frammentarsi troppo, anche il seminario deve aggiungere tre ore qui o tre là. Alla fine si scambiano i modi di fare teologia con capitoli in più: la dottrina sociale deve essere una dimensione intrinseca all’annuncio e approfondimento della fede».

Al Cardinale sta a cuore un aspetto molto importante: l’unità. «Occorre puntare molto sull’unità – sottolinea -. Abbiamo contemporaneamente chi ha un grandissimo interesse per una cosa e poi tutto il resto non esiste, ma la proposta cristiana deve guardare a tutto l’uomo sempre. All’interno della proposta uno sarà chiamato ad accentuarne un aspetto o un altro in rapporto alla propria vocazione che va vista in armonia e in comunione con gli altri membri della comunità, dato che tutti gli aspetti vanno tenuti insieme e l’unità è possibile dall’origine, perché essa non è convergenza».

La Chiesa ambrosiana è ricchissima di iniziative, di realtà associative, di proposte che negli anni sono nate e si sono affermate. Eppure c’è sempre il rischio frammantazione e moltiplicazione. Da Scola arriva invece una sollecitazione all’impegno, ma anche a valutare tutto quello che già esiste. «È molto importante in questo tipo di lavoro partire dal basso, guardando ciò che è in atto anche nella nostra realtà ecclesiale, valorizzando ciò che lo spirito ha suscitato e non inventando a tavolino tutte le volte schemi o programmi o strutture. Il primo impeto di un consiglio presbiterale, pastorale o dell’incontro dei decani o del consiglio episcopale è dire: ci troviamo di fronte a questo tipo di bisogno, quali risposte sono in atto nella nostra Chiesa milanese, nella Chiesa italiana? Chi sta già tentando di rispondere? Come valorizzarlo? Questo sarebbe un grande esercizio di comunione, perché ci costringerebbe a superare i nostri pregiudizi e la nostra autoreferenzialità».

E ancora nel concreto: «Non occorre reinventare tutte le cose da capo ogni volta. Domandiamoci: cosa possono darci ancora le Acli? Cosa ci stanno dando altre associazioni o gruppi appena nati? Se questo è ciò che c’è cominciamo a vedere cosa significa, partiamo dalla realtà che può essere più o meno strutturata e confrontiamoci. Prima guardiamo a ciò che ha prodotto la mia Chiesa, con un’apertura a 360 gradi senza bloccarsi sulla propria opinione».