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Milano

Gli oratori accolgono tutti,
anche gli islamici

Quasi un terzo dei bambini che frequentano l’oratorio è straniero, di questi il 25% è musulmano, mentre il 60% è cattolico. È uno dei dati più significativi della ricerca “Educare generando futuro. I minori di origine straniera in Oratorio: dall’integrazione alla condivisione”, presentata sabato 18 gennaio

18 Gennaio 2014

Quasi un terzo dei bambini che frequentano le attività dell’oratorio nella Diocesi di Milano è di origine straniera. Il 60% è di fede cattolica, il 25% è di fede islamica, il 10% di altre fedi cristiane.

“La presenza di ragazzi stranieri in oratorio è una ricchezza per la nostra azione educativa – spiega don Samuele Marelli, direttore della Fondazione Oratori Milanesi. – La stragrande maggioranza dei piccoli stranieri è cattolica: ma la diversità di fede, pur non costringendo nessuno, non ostacola il percorso di annuncio di Gesù che i nostri oratori compiono con l’accoglienza, il gioco, le attività formative e il catechismo”.

Gli oratori della diocesi ambrosiana sono sempre di più “palestre d’integrazione”, incubatori in cui prende forma “quel meticciato di identità e culture” destinato a segnare la società di domani, “luoghi di futuro”. E l’educazione alla fede, cardine delle vita dell’oratorio, non è un ostacolo per l’incontro tra i ragazzi di nazionalità differenti.

È quanto emerge dalla ricerca “Educare generando futuro. I minori di origine straniera in Oratorio: dall’integrazione alla condivisione”, presentata oggi sabato 18 gennaio a Milano presso la sede di Caritas Ambrosiana alla vigilia della 100° Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che la Chiesa celebra domani, domenica 19 gennaio.

L’indagine – realizzata da Ismu, Fondazione Oratori Milanesi, Caritas Ambrosiana e dall’Ufficio Pastorale Migranti della Diocesi di Milano – ha preso in considerazione un campione di 119 parrocchie rappresentative delle diverse zone pastorali della Diocesi ambrosiana.

Dalla ricerca emerge che sono di origine straniera il 27% dei ragazzi che frequentano l’oratorio estivo, circa il 26% di quelli che seguono le lezioni al doposcuola parrocchiale, il 15% di coloro che partecipano ai gruppi sportivi oratoriani. Addirittura in alcuni oratori della diocesi di Milano la presenza di minori stranieri raggiunge percentuali vicine al 40-50% sul totale dei frequentanti. Percentuali più alte se paragonate al coinvolgimento complessivo degli stranieri, compresi dunque anche gli adulti, nella vita delle parrocchie che si attesta attorno al 10%.

La presenza dei ragazzi di origine straniera in oratorio è dunque più significativa di quella dei loro genitori negli altri ambiti della vita parrocchiale e non trova ostacolo nella religione professata. Benché, infatti, l’educazione alla fede sia « la base e il cardine di tutte le attività che l’oratorio propone, dall’altra parte essa non sempre rappresenta un elemento discriminante per chi non professa la religione cristiano-cattolica».

Se, infatti, il 60% dei ragazzi di origine straniera in oratorio è cattolico, il 26,9% è musulmano, il 10,2 % appartiene alle altre confessioni cristiane.

Le relazioni di amicizia con i propri coetanei sembrano più determinanti dell’appartenenza al gruppo nazionale nella scelta dei giovani di origine straniera di frequentare l’oratorio. Il 33,3% dichiara di avere iniziato a partecipare alle attività perché già lo facevano amici e compagni di scuola, solo il 20,3% perché erano presenti in parrocchia propri connazionali.

In generale “i fattori di incentivo o ostacolo alla partecipazione dei minori stranieri alla vita dell’oratorio dipendono dalla capacità di creare relazioni espressa da chi anima quotidianamente queste realtà: i catechisti, gli animatori e gli educatori”.

A costoro i giovani di origine straniera riconoscono un atteggiamento di apertura, tanto che in una scala di valutazione da 1 a 10 attribuiscono un sette. A tale riconoscimento, tuttavia, la ricerca sottolinea che non corrisponde ancora un capacità di adattare le attività proposte, perché siano maggiormente rispondenti ai bisogni legati alla presenza crescente di diverse culture.

Ciò in parte può spiegare la ragione per cui la partecipazione di ragazzi di origine straniera in oratorio cala drasticamente quando si chiede loro non più di essere degli “utenti di servizi”, ma protagonisti della vita dell’oratorio, assumendosi ad esempio la responsabilità di guidare come animatori un gruppo di adolescenti.

Nonostante ciò, va riconosciuto che l’oratorio è il luogo della parrocchia dove più di altri i cittadini nati in un altro Paese si sentono a casa propria. Oltre la metà, il 52%, delle parrocchie ha almeno un animatore straniero, mentre le comunità ecclesiali dove è presente almeno un cittadino straniero nel consiglio parrocchiale sono circa il 24%, quelle che hanno almeno un catechista immigrato sono il 19%.

La ricerca mette in luce che «di fronte alla sfida dell’interculturalità nel nostro paese, gli oratori sono ancora oggi uno dei luoghi più avanzati e maggiormente coinvolti nei processi di accoglienza e di integrazione dei minori stranieri: le parrocchie mantengono la propria dimensione solidale, sono capaci di accogliere tutti indistintamente, anche coloro che provengono da altri paesi e che professano una fede diversa».

Per don Samuele Marelli «la presenza dei minori di origine straniera evidenzia la necessità di mirare ad un’integrazione attraverso la cifra della relazione: una relazione che sappia gettare le proprie basi anche dentro le fatiche e i limiti posti dalla diversità della lingua, della cultura di provenienza e degli atteggiamenti, delle presenza più o meno discontinua, delle diffidenza nell’accogliere le iniziative». La sfida è duplice. «Aiutare i giovani a cresce e, facendolo, far crescere anche l’oratorio».

«Possiamo dire chiaramente di avere iniziato un secondo momento nelle vicenda migratoria del nostro paese. Un secondo momento che esige risposte diverse da quelle date finora, anche dalla Chiesa», osserva don Giancarlo Quadri, responsabile della Pastorale per i Migranti della Diocesi ambrosiana.

«Ai ragazzi figli di immigrati che già frequentano i nostri ambienti dobbiamo trovare il modo di dire che essi non sono accolti in quanto bisognosi di qualche attenzione, ma perché li vogliamo considerare dei nostri, portatori del nostro stesso futuro, e perché di loro abbiamo bisogno: del coraggio dei loro genitori che hanno lasciato la propria terra, del loro spirito di sacrificio e di adattamento», sottolinea don Roberto Davanzo, direttore di Caritas Ambrosiana.