Percorsi ecclesiali

La Quaresima ambrosiana 2021

Sirio 26-29 marzo 2024
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14 marzo

I tratti dell’umanesimo cristiano

Nell'omelia per la quarta domenica di Quaresima la riflessione dell'Arcivescovo si sviluppa a partire dall'episodio del cieco nato e sottolinea alcuni tratti distintivi di chi ha saputo accogliere Gesù: amore fraterno, lavoro come forma di carità, rispetto per se stessi

di monsignor Mario DELPINIArcivescovo di Milano

14 Marzo 2021
La guarigione del cieco nato nel «Codex purpureus», Museo diocesano di Rossano

Se non cerchi, non trovi

Quelli che non cercano niente, non trovano niente. Se non hai domande, non troverai risposte. Se non hai sete, la sorgente d’acqua viva non ha alcun interesse. Dove non c’è il fastidio del buio, non si saluta il sole con un cantico di lode. Se non bussi, la porta non si apre.

Se non ti aspetti niente, ogni novità sarà un disturbo, invece che una sorpresa, uno stupore che introduce alla gioia.

La gente che circonda il mendicante cieco non si aspetta niente. La liberazione della cecità è un fatto sconcertante piuttosto che il segno che Gesù compie le opere di Dio. Per i vicini di casa è un fatto di cronaca, un elemento di curiosità; per i genitori è un enigma dal quale preferiscono chiamarsi fuori; per i giudei è un fatto sconcertante, indecifrabile per alcuni, scandaloso per altri.

Questo contesto impermeabile alla luce è uno spettacolo che provoca i devoti di ogni tempo. Hanno ridotto la devozione a consuetudine, non si aspettano niente di nuovo dalla loro frequentazione delle cose di Dio. Non hanno domande: non si aspettano risposte. Non hanno sete: guarderanno alla fonte della vita come a uno spettacolo scontato.

Così anche noi siamo interrogati: con quali speranze ascoltiamo il Vangelo? Con quale fame cerchiamo il pane della vita? Con quale vigilanza siamo attenti a Gesù, alla sua parola, ai segni che egli opera?

Quali sono le opere di Dio che il Figlio dell’uomo compie oggi in mezzo a noi?

Tu credi nel Figlio dell’uomo? La parola che chiede la risposta della fede

Il cieco guarito ha perso tutto, ma ha trovato Gesù. Ha perso i vicini di casa, ha perso i genitori, ha perso la sinagoga, cioè l’appartenenza al popolo di Dio.

Ha perso tutto ma ha trovato Gesù, ha riconosciuto che Gesù è colui che gli ha restituito la vista, Gesù è un maestro che merita di essere seguito, ha riconosciuto che Gesù viene da Dio, ha riconosciuto che in lui c’è la salvezza.

L’opera di Dio è questa offerta della vita della fede, che è conoscenza, che è salvezza, che è luce.

La nostra vita cristiana è chiamata a concentrarsi sulla fede, soprattutto in questo tempo: non è più tempo di luoghi comuni, di pratiche religiose ottuse che non si lasciano sorprendere dalla rivelazione di Gesù, non è più tempo di restare nella propria indifferenza e mediocrità per il quieto vivere. Credo, Signore!

Per un umanesimo cristiano

Chi ha accolto Gesù si rinnova, celebra una Pasqua nuova perché diventa una persona nuova. Il modo cristiano di essere uomini e donne deve sempre essere inventato, deve sempre essere ricostruito, perché ogni epoca della storia, ogni stagione della vita, ogni situazione che le vicende umane attraversano pone sfide inedite e chiede risposte nuove.

Alcuni tratti dell’“umanesimo cristiano” rimangono costanti nella sostanza, anche se si esprimono con linguaggi sempre nuovi.

Un tratto irrinunciabile è l’amore fraterno: avete imparato ad amarvi gli uni gli altri … fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi della vostre cose e lavorare con le vostre mani. Il tratto tipico delle comunità cristiane, l’amore fraterno, forse troppe volte è confuso nella mediocrità di rapporti sclerotizzati, nei pregiudizi, nell’indifferenza, nei puntigli, nelle vecchie beghe che non finiscono mai, nella mormorazione instancabile, nelle invidie, nei pregiudizi. Possiamo dirci di praticare l’amore fraterno se non riusciamo a intenderci tra abitanti delle diverse parrocchie? Possiamo dire di praticare l’amore fraterno se non ci aiutiamo gli uni gli altri? Se consideriamo gli altri una minaccia? Questo amore fraterno si esprime anche nel lavorare in pace.

Il tema del lavoro in questo tempo critico non può essere ignorato. Questa terra è famosa nel mondo per la sua laboriosità. Forse adesso è il momento di mostrare come anche lavorare sia una forma di carità, lavorare e dare lavoro, usare i soldi per investire sul lavoro, interpretare il lavoro come fattore necessario per la dignità dell’uomo e della donna, offrire lavoro invece che pretenderlo.

Un altro tratto irrinunciabile è il rispetto per se stessi che vive la libertà dalle passioni: che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto. La mentalità del nostro tempo sembra rivendicare il diritto alle passioni, alla volgarità, alle relazioni possessive che usano degli altri, soprattutto delle donne, come di oggetti da cui trarre piacere. I discepoli di Gesù sanno essere originali e vivere con rispetto, per sé e per gli altri. Rispettano uomini e donne. Sanno vivere con scioltezza, senza complessi, ma con modestia, senza volgarità.

L’umanesimo cristiano è amico del bene, di tutto il bene, del bene di tutti e con l’amore fraterno, con uno stile rispettoso e attento alle persone, con intelligenza e laboriosità sa costruire un modo di vivere che è desiderabile, una città dove è desiderabile abitare.

«Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo»

Attorno a un cieco c’è tanta gente che guarda. A sinistra, con la tunica bianca, due apostoli (che, osservandoli bene, si possono riconoscere come i due discepoli prediletti del Maestro: Giovanni, quello più giovane, e Pietro, con i capelli bianchi). A destra, una folla di curiosi è assiepata attorno alla vasca, per vedere e capire. E poi, al centro, c’è lui, Gesù, che nel mettere le sue dita su quegli occhi che non vedono, posa il suo sguardo su colui che vive nelle tenebre fin dalla nascita.
La scena è immersa in uno sfondo rossastro, come se si svolgesse sotto un tramonto infuocato. Un colore vivo, per nulla uniforme, ondeggiante, che sembra evocare anche quel vino che allieta il cuore dell’uomo (da Cana al Cenacolo) e perfino il sangue del sacrificio eucaristico. Proprio questa tinta ha dato il nome a questo meraviglioso manoscritto miniato, il celebre Codice purpureo che è conservato nel Museo diocesano di Rossano, in Calabria. Un’opera straordinaria e, nel suo genere, monumentale (paragonabile per importanza ai cicli pittorici e musivi che ornano le basiliche bizantine), realizzata probabilmente in Siria attorno al VI secolo e poi portata in salvo in Italia meridionale dai monaci in fuga dalla furia iconoclasta.
In questa miniatura, sviluppata come una sequenza cinematografica, il cieco si china due volte. La prima davanti al Cristo, per ricevere il suo tocco, come una benedizione. La seconda alla piscina di Sìloe, per lavarsi dal fango che quello sconosciuto gli ha spalmato sul viso. Proprio le sue mani, probabilmente, sono le prime cose che vede quando i suoi occhi si aprono. E poi l’acqua della fonte alla quale si è bagnato. Quindi le persone attorno, voci che ora finalmente hanno dei volti e dei corpi: uomini e donne che lo interrogano, che si interrogano, stupiti per aver assistito a un miracolo, ma con ancora il sospetto di essere stati ingannati.
Anche il cieco che non è più cieco è stupito. Non sa spiegarsi cosa sia successo, ma una cosa gli è chiara: ora ci vede. Vede la luce e Colui che gliel’ha data, e tanto gli basta per dire: «Credo, Signore!».
Luca Frigerio

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