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19 febbraio

Il Consiglio presbiterale riflette sull’introduzione dei giovani preti al ministero

La sessione convocata a Seveso per esaminare la prassi attuale, valutarne l’efficacia e suggerire miglioramenti anche alla luce di quanto proposto degli educatori del Seminario (possibile un mutamento nello svolgimento del VI anno di Teologia). Ne parla monsignor Ivano Valagussa, vicario episcopale per la Formazione permanente del clero

di Annamaria BRACCINI

17 Febbraio 2019

«L’inserimento del clero giovane nel Ministero». È questo il tema a cui sarà dedicata la discussione del Consiglio presbiterale, convocato, nella sua XII sessione, martedì 19 febbraio, presso il Centro pastorale ambrosiano di Seveso. Una scelta che nasce dall’ampia riflessione, in atto da tempo, relativa ai percorsi di preparazione seminaristica al sacerdozio, come spiega monsignor Ivano Valagussa, vicario episcopale per la Formazione permanente del clero.

È ormai più di un decennio (2007), che si sta ripensando l’introduzione dei giovani sacerdoti nel ministero. Da quali esigenze nasce questa necessità?
Nasce dalla richiesta del Seminario di rivisitare la prassi adottata in questo decennio per l’immissione nel Ministero presbiterale. Attualmente il diacono che conclude la formazione in Seminario vede come destinazione la parrocchia o la Comunità pastorale nella quale vivrà per almeno altri cinque anni il suo ministero come presbitero dopo l’ordinazione. Gli educatori del Seminario hanno raccolto, negli ultimi anni, una serie di difficoltà che i diaconi incontrano nel gestire contemporaneamente sia l’esperienza di Seminario – che continua nel sesto anno, attraverso lo studio e la vita comunitaria -, sia gli impegni pastorali nelle parrocchie cui sono destinati. Da qui è partito un lavoro di confronto con la Formazione permanente del clero, in particolare con l’Ismi, che si occupa dell’accompagnamento dei presbiteri nei primi 5 anni di ministero. Al Consiglio presbiterale viene ora chiesto di considerare la prassi attuale, di valutarne l’efficacia e di suggerire miglioramenti anche alla luce della proposta degli educatori del Seminario.

Nell’incontro del Consiglio presbiterale si formula in particolare la possibilità di un mutamento nella modalità con cui articolare il VI anno di Teologia. In che cosa consiste tale revisione?
La proposta consiste nel tornare a distinguere la destinazione del diaconato da quella definitiva del presbiterato per permettere a questo anno di realizzare, senza eccessive pressioni e fretta, quella «tappa pastorale e di sintesi vocazionale» prevista dalla stessa Ratio Fundamentalis.

L’immissione dei giovani preti nelle ormai numerose Unità e Comunità pastorali si rivela una chance positiva o è un’ulteriore difficoltà all’inizio dell’impegno pastorale?
Unità e Comunità pastorali sono una condizione nella quale ormai il Presbitero è chiamato a vivere il proprio ministero. Questa scelta pastorale, non facile, contiene in sé il valore ecclesiale della comunione per la missione. Di conseguenza, le Comunità pastorali possono offrire chances in più, soprattutto sul versante di una pastorale d’insieme capace di plasmare la figura del presbitero. Dall’altra parte, è un passaggio complesso che richiede a tutti dei cambiamenti e delle conversioni. Quindi, le Cp si presentano anche come un momento di nuova ricerca dell’identità del ministero e della modalità di viverlo.

L’Arcivescovo sottolinea spesso la questione della sinodalità presbiterale. Quali attenzioni sono richieste, soprattutto oggi, per una formazione permanente del clero?
La formazione permanente del clero non è una semplice questione di aggiornamento, ma un atteggiamento che accompagna tutta la vita in quel discepolato che configura a Cristo. Per questo è necessario che ogni presbitero diventi il primo e principale responsabile della formazione nel ministero. E il primo ambito in cui si sviluppa questa formazione è la fraternità presbiterale, nella quale sperimentare l’appartenenza al presbiterio e la collaborazione piena con il Vescovo. Una fraternità sempre più chiamata a estendersi anche al laicato per una corresponsabilità di tutti i battezzati alla missione della Chiesa. Mi sembrano queste le attenzioni fondamentali che chiedono oggi di essere non solo promosse, ma anche declinate nella realtà in continuo cambiamento delle nostre comunità cristiane.