Sirio 26-29 marzo 2024
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Il parere di Riccardo Bonacina BISOGNA REINVENTARE LA PROFESSIONE GIORNALISTICA

23 Novembre 2006

Secondo il direttore del settimanale “Vita”, le regole del libero mercato hanno cambiato il volto del giornalismo. Ormai la notizia è valutata in base a quanto potrà far vendere il giornale. Il lettore si sente sempre più manipolato e perde fiducia nei mezzi di comunicazione. Una delle risposte più sorprendenti e innovative oggi è quella dell’informazione "partecipata”.

di Stefania Cecchetti

Pubblicità e libertà dell’informazione: secondo Riccardo Bonacina, prima ancora che i giornalisti, è un problema che riguarda gli editori. Giornalista televisivo, prima a Mediaset e poi in Rai, dove dal 1991 al 1994 ha firmato il fortunato programma “Il coraggio di vivere”, Bonacina ha fondato nel 1994 “Vita”, il primo (e tuttora unico) settimanale dedicato interamente al mondo del volontariato, che oggi è diventato anche un piccolo gruppo editoriale. È dunque in qualità di giornalista-editore che lo interpelliamo su una questione cruciale dell’etica giornalistica.

«I giornali vendono sempre meno copie – sostiene Bonacina – e perciò si finanziano sempre più con la pubblicità tradizionale od occulta. Dobbiamo poi prendere atto del boom della stampa gratuita totalmente finanziata dai contratti pubblicitari. Attraversiamo un’epoca di mutamenti epocali per l’informazione scritta. Mutamenti che non possono non mettere in discussione lo statuto stesso della professione giornalistica, la questione della libertà del professionista e dell’indipendenza dell’informazione».

Bonacina non ha dubbi: per svolgere il proprio mestiere in un determinato modo, a un certo punto si deve diventare editori. I giornalisti sono avvisati. «Non è che il mio percorso debba fare scuola – corregge il direttore di “Vita” -, ma effettivamente nella mia storia il voler fare in un certo modo la professione giornalistica ha coinciso con la scelta di diventare imprenditore. Insieme a un piccolo gruppo di colleghi in Rai siamo arrivati alla convinzione che nei meccanismi editoriali dei grandi gruppi non saremmo riusciti a essere testimoni liberi della realtà, senza diventare noi stessi editori».

Dopo 11 anni, Bonacina può confermare che effettivamente il tema della proprietà dei mezzi di comunicazione è ancora “la” questione quando si parla di libertà dell’informazione. Accanto a nuove problematiche suscitate dalle rivoluzioni di cui sopra: «Il rapporto della Fondazione Carnegie del settembre scorso ricordava che fra le caratteristiche principali del nuovo mondo dell’informazione quelle di maggior peso sono: la concentrazione monopolistica di alcuni editori; Internet e le nuove tecnologie; la perdita di lettori da parte delle testate tradizionali: dal 1972 al 1998 la percentuale di lettori dai 30 ai 39 anni è scesa dal 73% al 30%».

«Il vecchio paradigma del giornalismo viene oggi capovolto dai mutamenti in corso – spiega ancora Bonacina -. Non importa quante notizie si danno, ma quante diverse versioni si danno della stessa notizia. La notizia diventa ciò che fa vendere il giornale o attrae gli utenti al proprio sito web».

Secondo Bonacina, «una delle risposte più sorprendenti e innovative è oggi quella dell’informazione partecipata. Ad esempio, l’ingresso di giovani bloggers all’interno delle redazioni, un maggiore coinvolgimento dei lettori attraverso commenti, forum, e persino la stesura degli articoli. Ripensare il sistema dell’informazione significa re-immaginare radicalmente gli assests aziendali e professionali che hanno sin qui caratterizzato il mondo del giornalismo e dell’editoria. Le regole del libero mercato, così come si sono evolute sino a oggi (costi postali, diritti d’autori, licenze), sembrano andare in contrasto con le nuove esigenze del lettore, ma soprattutto tendono a premiare le posizioni dominanti, da cui il giovane lettore sta fuggendo, e di cui il lettore medio sente sempre meno l’autorevolezza. Non sono in linea con la realtà che il lettore percepisce quotidianamente, da cui il sospetto (certezza) di essere manipolato e la mancanza di fiducia. La risposta da trovare e mettere in campo è, credo, quella di moltiplicare, più che codici deontologici, esperienze di editoria indipendente e multimediale. Esprienze in cui anche lo statuto della professione giornalistica si possa davvero reinventare».