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Il patriarca latino di Gerusalemme Michel Sabbah «SIAMO UNA CHIESA POVERA, MA DOBBIAMO DONARE ANCHE AGLI ALTRI»

2 Marzo 2006

«L’amore garantirà che la nostra fede e la nostra vita di comunione non diventino forme di confessionalismo o di fanatismo aggressivo».

«Il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace e di amore» citate da Benedetto XVI nel suo messaggio quaresimale è quello di coloro che vivono in Terra Santa dove con le «paure, l’ansietà e l’insicurezza, la ricerca di giustizia, di pace e di riconciliazione resta un miraggio lontano». È quanto scrive nel suo messaggio per la Quaresima il patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah. «Le elezioni palestinesi hanno fatto emergere nuove forze che prendono in mano i nostri destini – afferma Sabbah – e attendiamo quelle israeliane per capire quale sorte ci attende».

Dinanzi a tutto questo «la Quaresima ci ricorda che camminando verso Dio, camminiamo con tutti gli uomini, nei volti dei quali vediamo riflessa l’immagine di Dio e con i quali condividiamo gioie e sofferenze per costruire la nostra società. Per questo il cristiano non deve avere paura. La nostra vita è una lotta continua per perseverare nel cammino verso Dio, una lotta per trasformare tutta la nostra vita in momenti di grazia».

Nel suo messaggio quaresimale, il Patriarca Sabbah si sofferma poi sul tema della carità: «Tra di noi ci sono molti poveri. Siamo una Chiesa povera che riceve ma dobbiamo ricordarci che abbiamo anche la capacità di amare e di donare. La nostra Caritas Gerusalemme dovrebbe diventare quella di una Chiesa che sa organizzare la carità dei suoi fedeli, ricchi e poveri, per renderli capaci di donare».

Una rieducazione che secondo Sabbah, «insegna al cristiano a vivere, anche nel bisogno e nella povertà, la comunione della prima chiesa di Gerusalemme». Ma per far ciò, avverte il patriarca, «occorre sconfiggere l’individualismo, andare oltre le visioni personali, per abbracciare tutta la comunità parrocchiale. Nessuno all’interno di questa deve restare nell’indigenza e nella solitudine». «L’amore – conclude – garantirà che la nostra fede e la nostra vita di comunione non diventino forme di confessionalismo o di fanatismo aggressivo».