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Il travaglio fisicoTESTIMONE NEL DOLORE

18 Aprile 2005

di Silvano Stracca

E’ il 13 maggio 1981, ore 17 e 19. Giovanni Paolo II , in piedi sulla jeep, sta attraversando piazza San Pietro gremita da 40 mila fedeli per l’udienza generale del mercoledì. Improvvisamente risuonano due colpi di rivoltella. Il Papa si accascia tra le braccia del suo fedelissimo segretario, monsignor Stanislao Dziwisz. Le immagini del vicario di Cristo che cade all’indietro colpito a morte fanno immediatamente il giro del mondo.

Poi, la lotta contro la morte: la frenetica corsa al Policlinico Gemelli; l’immediato trasporto in sala operatoria, dove Giovanni Paolo II arriva dissanguato; le trasfusioni, mentre le sue condizioni appaiono così gravi che il segretario gli amministra l’estrema unzione; le cinque ore e venti minuti sotto i ferri dei chirurghi. A mezzanotte passata da un pezzo, il bollettino medico che annuncia che l’intervento è riuscito .

Quattro giorni in sala di rianimazione. Le immagini del Papa sul suo letto di dolore, con il camice bianco, diffuse dallo stesso Vaticano. La voce fioca che recita il Regina Coeli, domenica 17, con le parole di «sincero perdono» nei confronti «del fratello» che lo ha colpito; perdono che rinnoverà al terrorista turco due anni dopo, incontrandolo nel carcere romano di Rebibbia.

Ormai fuori pericolo, Giovanni Paolo II chiede al professor Crucitti che l’ha operato dettagli dell’intervento. Il professore, dopo avergli confessato d’aver avuto paura, gli riferisce d’aver osservato una cosa inspiegabile: la pallottola si era mossa nelle viscere del Papa a zig zag, evitando ogni organo vitale. «Sembrava – afferma Crucitti – che quella pallottola fosse stata guidata per non provocare danni irreparabili». «Una mano ha sparato, un’altra mano ha deviato la pallottola», conferma in seguito il Papa, convinto di non essere morto solamente per l’intercessione della Madonna di Fatima , la cui festa cade proprio il 13 maggio.

Lunga e difficile la convalescenza. Il Papa atleta, forte, infaticabile, diventa un Papa sofferente. Tre anni dopo, nella lettera Salvifici doloris sul valore salvifico della sofferenza, Giovanni Paolo II rivela il nuovo orientamento della sua esistenza: «Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo che è la Chiesa».

Ancor più di prima, nelle udienze in Vaticano e negli incontri attraverso il mondo, ricerca e si trattiene con i malati. In Asia e in Africa abbraccia i lebbrosi, a Hiroshima e Nagasaki si china sui sopravvissuti alla morte atomica, a Los Angeles accarezza un bambino malato di Aids. «L’uomo diventa in modo speciale la via della Chiesa – si legge nella Salvifici doloris – quando nella sua vita entra la sofferenza».

Anche Giovanni Paolo II negli anni successivi sperimenta più volte la sofferenza. Nel luglio del 1992 annuncia che deve ricoverarsi al Gemelli per un tumore al colon, che risulta per fortuna benigno. Nel novembre del 1993, durante un’udienza, inciampa, cade, si lussa la spalla destra e per alcune settimane deve benedire con la mano sinistra. Alla fine dell’aprile del 1994 cade di notte e si rompe il femore destro; resterà claudicante e comincerà ad appoggiarsi al bastone.

Nell’ottobre del 1996 torna per la sesta volta in ospedale per l’asportazione dell’appendice . Una dolorosissima Via Crucis anche per i progressi di un vecchio male, il morbo di Parkinson. E tuttavia il Papa sofferente continua a compiere il suo servizio pontificale come se le sue forze fossero intatte . Anzi, proprio negli ultimi anni, con indomito coraggio, compie alcune delle iniziative più difficili e faticose , senza fermarsi di fronte ad alcun ostacolo. Basti pensare al Grande Giubileo del 2000 , quando all’attività abituale – udienze, documenti, viaggi – si aggiunge una mole enorme di celebrazioni liturgiche e di incontri con i pellegrini affluiti da ogni parte del mondo.

Un susseguirsi d’allarmi per la sua salute. Nell’estate del 2003 le immagini del Papa che trema e non riesce a parlare durante il viaggio in Slovacchia fanno il giro del mondo. Creando una fortissima corrente di ammirazione e partecipazione commossa alla sua sofferenza, che si rinnova ancor più forte nel febbraio del 2005, quando Giovanni Paolo II viene ricoverato per due volte al Gemelli, a distanza di due settimane, per una grave crisi respiratoria e un urgente intervento di tracheotomia.

Il mondo segue in diretta, momento per momento, il tramonto doloroso della vita di un grande vegliardo, che la sera del 16 ottobre 2003, nel venticinquesimo anniversario del suo pontificato, aveva sussurrato con queste parole la sua totale disponibilità a Cristo: «Ti rinnovo il dono di me stesso, del presente e del futuro; tutto si compia secondo la tua volontà».