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Seconda tappa

Incoraggiamoci a vicenda: non viviamo in un mondo di morte

In una Basilica San Pio X gremita, i fedeli ambrosiani si sono riuniti con l'Arcivescovo e i sacerdoti per la Celebrazione iniziale del pellegrinaggio a Lourdes

di Annamaria Braccini

15 Settembre 2018
©Foto Unitalsi

Si affolla in fretta, a sera, la Basilica sotterranea San Pio X, per la Celebrazione eucaristica all’inizio del pellegrinaggio degli ambrosiani a Lourdes.
La sobria ed essenziale architettura sormontata da grandi travi di cemento che ricorda una barca, accoglie tutti, i malati che arrivano aiutati dai barellieri, i fedeli, i sacerdoti – molte decine – che concelebrano il Rito presieduto dall’Arcivescovo. Accanto a lui i Vescovi, tra cui il vicario episcopale monsignor Erminio De Scalzi che, nel suo saluto di apertura, ricorda le ragioni del pellegrinaggio e invita a chiedersi «di cosa abbia più bisogno la vita spirituale di ciascuno e il perché profondo dell’essersi messi in viaggio».
Tre i voti formulati per la nostra Chiesa. «Veniamo a Lourdes per affidare alla Madonna il nostro cammino di fede che, forse, ha bisogno di un rilancio e di un riscatto dall’assuefazione; siamo qui per incontrare lo sguardo di chi soffre e la serietà della vita. Chiediamo di trovare il coraggio di porci le domande vere, facendoci prossimi a chi soffre». Infine, «in questo anno del Sinodo minore “Chiesa dalle Genti”, a Lourdes incontreremo la Chiesa universale che ha il volto degli uomini e donne che, in ogni parte del mondo, riconoscono in Cristo l’unico Signore. Che Maria aiuti la Chiesa ambrosiana ad essere e ad agire da Chiesa delle genti».

L’omelia dell’Arcivescovo

A tutti si rivolge l’intensa omelia di monsignor Delpini che si fa incoraggiamento, sguardo grato, parola di speranza, anche in una terra che, troppo spesso ormai, «pare di morte e di condannati a morte nel deserto desolato della storia: terra insidiosa e pericolosa».
Un mondo di veleni che respiriamo ogni giorno e nel quale la tentazione, regina del nostro tempo, è di rifugiarsi «nell’indifferenza e nella distrazione», specie «di fronte allo strazio del soffrire».
«Il male fa male, perciò meglio volgere lo sguardo altrove; vedere la precarietà degli altri rende inevitabile pensare alla propria, al comune destino che trascina verso l’abisso spaventoso e irrimediabile; meglio pensare ad altro, divertirsi, dedicarsi anima e corpo al lavoro, agli affari, a inseguire le novità del momento».
Se questa è la condizione che evita le domande, creando il terrore della morte vista come la fine di tutto, ci sono poi, «gli uomini e le donne che si muovono a compassione, vivendo l’incontro con il soffrire altrui come una sorta di vocazione».
Quelli che dicono, anche solo con un sorriso o attraverso le mani ferme che guidano le barelle, «il tuo dolore mi commuove, il tuo bisogno è un appello, il tuo limite è una richiesta di aiuto che mi trafigge il cuore».
È il cammino che percorrono i cuori compassionevoli – nel senso etimologico del “sentire insieme” – a Lourdes o per le strade del mondo, accogliendo «il Vangelo come una luce che trasfigura tutto, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».
«Il Figlio entra per la porta stretta della morte per segnare la via che conduce alla vita di Dio, così che la sua tenerezza non è una cura palliativa, non è il sollievo di un gesto di compassione, ma la rivelazione di un nome che salva, l’unico che può salvare: Gesù».
E, allora, come non alzare lo sguardo «a Colui che è stato innalzato da terra» e attira tutti a sè? Come non coltivare la speranza affidabile?
Questa è la ragione di ogni pellegrinaggio autentico. «Ecco perché siamo qui, perché ci riconosciamo tra quelli che contrastano l’indifferenza. La fraternità che rende possibile il pellegrinaggio non è un modesto, commovente, gesto di sollievo, non è una parentesi che distrae da una vita troppo noiosa, troppo triste, troppo tragica. Siamo, invece, fratelli e sorelle che invitano ad alzare lo sguardo, a riconoscere in Gesù il principio di vita eterna, a ricevere la rivelazione che questa terra non è una terra piena di morti e di condannati a morte, ma è un sentiero, un cammino che il popolo percorre nella pazienza dei giorni, nelle tribolazioni ordinarie, nelle domande inquietanti, ricevendo la rivelazione beatificante. Siamo in cammino verso la terra promessa».
Poi, le espressioni che l’Arcivescovo scandisce con emozione, a braccio, nel silenzio più assoluto: «Alcuni di voi sono a Lourdes per accompagnare quelli che sono stupiti di essere stati aiutati ad arrivare fin qui, anche se non camminano e sono insidiati dalla malattia. Alcuni sono qui come pellegrini che portano una loro speranza o pena, un motivo di gratitudine per ciò che hanno guadagnato o di amarezza per ciò che hanno perduto. Tu che sei sano, forte vigoroso e contento, ricordati che solo il Signore ti dà la vita eterna. Tu, che sei impedito, non ti ripiegare nella tua tristezza; tu che fai del bene e che trovi gratificazione nel gesto di generosità nel volontariato, non accontentarti, ma impara a condividere la compassione di Dio che offre una consolazione che dura per sempre. Incoraggiamoci a vicenda. Siamo qui a imparare da Maria che non vale la pena di vivere per niente se non per la vita eterna».

Preghiamo per la fede di Milano e dell'Europa

«Mi hanno raccontato che, nel pellegrinaggio del 1958, l'arcivescovo Montini ha avuto momenti di intensa commozione, quasi di pianto, dicendo: "Milano non è più cristiana"».
L'Arcivescovo, a conclusione della Celebrazione nella Basilica sotterranea, cita il ricordo di un allora giovane seminarista, che, al pellegrinaggio di 60 anni fa partecipava, e che sarebbe diventato sacerdote l'anno successivo. Oggi è il vescovo monsignor Marco Ferrari (che è anche al pellegrinaggio di questi giorni) e che fa memoria di una sorta di amarezza di Montini al termine della pur felice Missione di Milano del 1957, convocata perché, come diceva il futuro Paolo VI, "ai milanesi non bisogna insegnare a fare i soldi, ma a pregare"».
In fondo, la stessa ragione per cui, forse, monsignor Delpini richiama il ricordo lontano, aggiungendo: «Stasera
osiamo condividere questo grido di compassione per una città dalle grandi tradizioni che si secolarizza. E non solo per Milano, ma per tutta l'Europa, questo continente pieno di chiese e di santuari, di storia sacra e di santità che sembra stia perdendo la fede, quasi che sia saggio pensare che siamo tutti dei condannati a morte. Noi, invece, vogliamo ribadire la nostra fede. Chiedo a tutti di recitare un'Ave Maria per la fede di Milano e dell'Europa»

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