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25 settembre

La Chiesa ambrosiana accoglie il cardinale Scola

La comunità cristiana si prepara con gioia all’ingresso in Diocesi dell’arcivescovo Angelo

Mario DELPINI Vescovo ausiliare

17 Settembre 2011

Nel paese delle chiacchiere, prima dell’uomo arrivano le etichette e decidono l’umore: viene dal movimento! Perciò si decreta che ci siano gli entusiasti e, dall’altra parte, i perplessi. Nel paese dei sospetti, prima dell’inizio si scrivono i retroscena e si immaginano complicate strategie, inverosimili macchinazioni, improbabili ambizioni. Perciò nel salotto dei sapientoni si confidano, come distillati di sapienza, frammenti di banalità intravisti nei titoli dei giornali. Nel paese degli affari, prima dell’autore interessa mettere in vetrina i libri: non è che sia importante leggerli, importante è venderli. Ma i cristiani, pur abitando tutti i paesi, si impegnano a resistere alla tentazione del conformismo. Si preparano alla novità dell’Arcivescovo perché sono contenti di continuare ad essere fedeli. Come si prepara una Chiesa ad accogliere il vescovo che è mandato come pastore?

I preti, come voce di tutta l’assemblea, si preparano a ricordare ogni giorno nella Messa "il nostro vescovo Angelo". Dichiarano così che prima di tutto viene la comunione in quella dimensione che chiamiamo "spirituale". Le comunità cristiane ricevono nella preghiera la consolazione di essere unite a tutta la Chiesa, diffusa su tutta la terra, antica di tutta la sua storia, giovane di tutta la sua speranza. È come se l’angelo dell’Apocalisse rivolgesse ancora la parola: «Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello». E allora lo sguardo sulla Chiesa e le sue vicende penetra oltre la cronaca per vedere la verità: «Mi mostrò la città santa, Gerusalemme, …risplendente della gloria di Dio» (cfr Apc 21,9ss).

La successione dei vescovi conforta i cristiani che, senza smettere di gemere per i peccati, di faticare per la vita stentata, di provare disappunto per il discredito delle parole cattive, riconoscono la solidità della Chiesa nei «dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (Apc 21,14). Nelle comunità si sta preparando la cornice per collocare un po’ dappertutto, accanto a quella del Papa, la foto dell’arcivescovo Scola. Il volto diventerà familiare a tutti quelli che entrano in sacrestia, in casa parrocchiale, nella sala del consiglio pastorale. Le comunità cristiane si predispongono a una familiarità: forse gli incontri non potranno essere numerosi, le visite saranno rapide, ma i fedeli sapranno dire: «È il nostro Cardinale».

La Chiesa è fatta di un misterioso intreccio di rapporti personali, talora immediati, quasi quotidiani, con abbondanza di parole, talora invece circoscritti in momenti celebrativi, diradati nel tempo, essenziali nei discorsi. Nessuno però può prevedere quali siano quelli più incisivi ed edificanti: le parole e i segni, infatti, producono frutto in proporzione dell’attesa che li accoglie e della stima che li custodisce. La familiarità con il volto che sorride dalla parete predispone alla stima e all’attesa.

La Chiesa ambrosiana accoglie l’arcivescovo Scola, successore dei santi Ambrogio e Carlo. La singolarità di ogni vescovo, le sue doti personali, il momento storico particolare che a ciascuno è dato di vivere è dentro una tradizione santa e complicata, antica e desiderosa di futuro. Perciò i cristiani vivono il passaggio delle consegne e accolgono l’arcivescovo Scola come una novità per essere fedeli. Lo Spirito di Dio è all’opera per animare tutte le comunità ad appassionarsi della missione che continua. La forza dello Spirito non esonera dalla fatica e dall’apprensione di fronte alle sfide della missione, ma rende disponibili per perseverare sulla strada tracciata dai vescovi zelanti, buoni, sapienti che hanno preceduto l’arcivescovo Scola. La successione dei vescovi introduce al futuro l’antica tradizione della Chiesa ambrosiana che si dispone a quell’attitudine sinodale che il cardianle Scola richiama con insistenza.

Ambrogio e Carlo e tutti i santi vescovi milanesi continuano ad intercedere e ad essere maestri: per discernere i segni dei tempi ed esercitare un ministero di profezia, per portare a compimento i cantieri aperti e custodire e testimoniare la fede, per rendere sempre più visibile e spirituale la sinfonia dei molti carismi che arricchiscono la comunità cristiana, per una disciplina del clero, un’audacia missionaria dei laici, una comune pratica della carità e una presenza incisiva nella società civile di questa terra che rivelino qualche cosa della gloria di Dio che riempie la terra. Così la nostra Chiesa si prepara ad accogliere l’arcivescovo Scola, con una preghiera che crea la comunione, con un’attesa di familiarità che desidera l’incontro, con la determinazione a continuare la tradizione dei santi.

«Il mio grazie a Venezia, messaggio all’umanità»

Non è mancata la «gratitudine al Signore per questo decennio». Né la richiesta di «perdono, a coloro che volontariamente o involontariamente avessi potuto offendere in questo cammino. Se ho peccato contro questa Chiesa ho soprattutto peccato di omissione». Né poteva mancare la rilettura di quanto sta avvenendo a questa Chiesa - e a lui, chiamato ad essere il nuovo arcivescovo di Milano - secondo il filtro della Parola di Dio: «Perché Cristo è la nostra vita siamo qui questa sera. Perché Cristo è la nostra vita noi ci disponiamo a seguire un disegno che ci supera». E ancora: «Ogni prova, compreso il distacco, è per un di più, è per il nostro bene». «Questa Venezia è un messaggio all’umanità». Ma l’ultima omelia del cardinale Angelo Scola, pronunciata mercoledì sera dal pulpito della Cattedrale di San Marco, è stata anche l’occasione per rilanciare ancora una volta la missione affidata a questa città dell’umanità, alla «Serenissima nostra città che tanta luce ha avuto dalla nostra Chiesa e che tanta ancora se ne aspetta». Colpito, quasi stregato dal «prorompere della bellezza della nostra Venezia, assolutamente indicibile, indescrivibile», assaporata durante il viaggio nella "disdotona" offertogli poco prima dalle remiere, il cardinale Scola sottolinea: «Questa Venezia è un messaggio all’umanità, perché il suo popolo la vive in modo tale da renderla un messaggio per l’umanità. È una responsabiltà per la Chiesa, una responsabiltà per tutti gli abitanti della società civile plurale, un compito per l’umanità in un tempo di grande travaglio». (P.F.)

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