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Arte

La condanna, prima tappa della Via Crucis

L’opera di Gaetano Previati “Gesù è condannato a morte” sullo sfondo della prima riflessione dell’itinerario catechetico quaresimale dell’Arcivescovo

27 Febbraio 2012

Gesu è condannato a morte è la prima stazione della Via Crucis di Gaetano Previati, eseguita nel 1888 per il cimitero di Castano Primo. Opera giovanile, testimonia l’apertura dell’artista alle novità pittoriche europee in modo particolare nei confronti del “simbolismo”. Conservata per diversi anni presso il Museo Diocesano, sarà prossimamente esposta nel Museo che la città di Castano Primo dedica alla memoria dell’artista.

I colori morbidi, terrosi, spezzati da macchie appena piu intense di bianco, di azzurro e di rosso; i personaggi che sfumano dentro un’aria rarefatta e ferma creano un’atmosfera pesante, gonfia di silenzio e graffiata da sguardi torbidi pieni di beffarda ironia che scrutano Gesu soddisfatti nel vederlo finalmente legato e zittito.

La lancia del soldato diritta e ben piantata per terra e fulcro di uno spazio che si fa palcoscenico di un dramma appena iniziato: essa non è piu semplice accessorio in mano al soldato, ma trofeo che ostenta e conferma la vittoria di un potere cieco e violento che ha appena sancito una condanna: «Sia crocifisso». E il potere tronfio nella sua presunta solidità e seduto su un trono di fortuna intento a redarre un’ipocrita giustizia frutto di una codarda vigliaccheria e lontana dalla verità ricercata e ascoltata. Pilato non sa neppure sostenere lo sguardo del Cristo e si rifugia, meschino, nel gesto di un autoritarismo ottuso e insipiente. Privato dall’artista di ogni minima sensibilità umana, egli appare quasi come immobile e fredda statua su fragile piedistallo, inanimata maschera di se stesso.

Di fronte a Pilato, in perfetta diagonale con lui a segnare un confronto che e anche scontro di verità e al centro di uno spazio che si fa improvvisamente aperto e libero, sta in piedi il condannato Gesu. Mani legate, volto leggermente rivolto verso il basso, Cristo sembra avanzare per ritagliarsi uno spazio nel quale consegnarsi a noi come un’icona: un’icona di sofferenza e di amore. Viso segnato dal dolore, non urlato, ma dignitosamente espresso, il corpo chiuso in una sdrucita veste biancastra, ricettacolo di quella luce, sua vera identità, mai creduta ed accolta, ricoperto da un rosso mantello foriero del sangue che si prepara a versare “fino alla fine”, Cristo proclama tutta la sua dignità di vero Uomo e la sua grandezza di vero Dio. Sembra immagine di una libertà perduta, di un’amara sconfitta umana, di un’ineluttabile e irreversibile resa. Invece rivela ben altra verità: annuncia libertà interiore, inafferrabile, che sfugge a ogni laccio che si stringe, a ogni spina che si infigge, a ogni canna che colpisce, a ogni frusta che percuote, a ogni sputo che umilia. Una libertà interiore proclamata con mansuetudine, ma con chiara fermezza che si rivela spazio di «verità» senza confini, abitato da un amore altrettanto senza misura.

 

Tratto da Per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Via Crucis con l’Arcivescovo cardinale Angelo Scola (In Dialogo, 72 pagine, 2.80 euro).