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Cazzago Brabbia

«La Dedicazione della vostra chiesa
vi unisce come comunità viva»

Il cardinale Scola a Cazzago Brabbia, nel Decanato di Azzate, la presieduto la Celebrazione eucaristica con il rito della Dedicazione della chiesa “San Carlo Borromeo”

di Annamaria BRACCINI

16 Marzo 2014

Un atto storico. È quello che, compiuto dal cardinale Scola, ha potuto vivere la piccola, ma assai presente e impegnata comunità di Cazzago Brabbia.

Sotto un bel sole primaverile, l’Arcivescovo, infatti, arriva in questo angolo incantevole tra l’azzurro del lago di Varese e il verde della campagna collinosa, per dedicare la chiesa San Carlo Borromeo. Tempio antico, edificato nel 1590, a soli sei anni di distanza dalla morte del Vescovo patrono e che – per un’inadempienza lunga oltre quattrocento anni, come ci si accorse nel 2004 – non era stata ancora dedicata ufficialmente. E, allora, tutto il paese, che conta poco più di ottocento abitanti, mobilitato da giorni per l’occasione, si dà appuntamento in chiesa: ci sono il sindaco, Massimo Nicora, le autorità, il decano del Decanato di Azzate, don Angelo Cavalieri, i sacerdoti che concelebrano, chi perché nativo, chi perché qui ha svolto il suo ministero. Dopo il saluto del responsabile della Comunità pastorale di Daverio, di cui fa parte Cazzago, don Angelo Castiglioni, il Cardinale asperge, secondo il rito, il popolo con l’acqua benedetta. «Esprimo tutta la mia gioia di essere qui, in questa storica chiesa, per compiere una celebrazione unica nel suo genere», dice in apertura dell’omelia.

Il riferimento è subito per il Borromeo, il cui motto della casata, Humilitas, è inciso nel bel rosone centrale della facciata. «San Carlo ha riformato la Chiesa e le comunità ecclesiali dell’Europa del suo tempo. A noi, oggi, è lasciato questo compito: rendere credibile la Chiesa per ogni fratello, anche per chi ha perso la strada di casa».

A partire dal Vangelo di questa seconda domenica di Quaresima e dal rivelarsi di Gesù alla Samatirana – “Sono io che parlo con te”, dice il Signore –, giunge la prima indicazione dell’Arcivescovo. «Anche noi dobbiamo porci, mentre compiamo il gesto più importante che possa esistere, l’Eucaristia, nella stessa posizione di chi ascolta».

E se San Paolo, nella Lettera agli Efesini appena ascoltata nella liturgia della Parola, definisce la Chiesa «il corpo di lui», occorre ricordare, con un’espressione che ritorna proprio nella preghiera di Dedicazione, che siamo noi le vere pietre di questa stessa chiesa, osserva ancora il Cardinale.

«Siamo qui con consapevolezza personale ma anche con la coscienza di essere un “noi”. Come scriveva l’arcivescovo Montini, ai tempi del suo episcopato ambrosiano, bisogna che riprendiamo l’intento di San Carlo ossia ricreare una santità di popolo, facendo santa tutta la comunità».

Insomma, più assumiamo personalmente il rapporto con il Signore, più comprendiamo la necessità di viverlo dentro la comunità, suggerisce il Cardinale che cita la Lettera pastorale di quest’anno e le sue sottolineature per vivere in modo autentico e nella fede le dimensioni comuni dell’esistenza. Gli affetti, con al centro la famiglia, il lavoro – che, in un momento drammatico come l’attuale, tocca con la crisi anche queste vostre zone –, il riposo che non è uno staccare la spina, ma il recupero dell’equilibrio tra le nostre attività quotidiane. Riposo che deve avere al cuore «la domenica vissuta nella partecipazione all’Eucaristia, alla vita dell’oratorio e nella condivisione di chi è nel dolore».

Questo, appunto, crea la coscienza dell’essere, pur tra tante differenze, una cosa sola. Quell’«essere uniti» che è fondamento del nostro costruire vita buona e amicizia civica attraverso stili di comportamento giusti ed equi «proponendoci in una realtà dove convivono molte diverse visioni del mondo» e, così, annunciando credibilmente «la bellezza di vivere secondo i comandamenti». Da qui un ultimo impegno, rivolto direttamente ai fedeli: «Portate tutto questo fuori dalle porte della chiesa, nella vita di tutti i giorni, siate testimoni e animatori della comunità».

Il compito rimane sempre quello, per dirla ancora con San Paolo: «andare a fondo all’intelligenza di Cristo e della Chiesa», scoprendo che ci si educa e si cresce ogni giorno, come cristiani e uomini, in una prospettiva di bellezza e bontà.

Poi, l’intensa liturgia di Dedicazione – resa ancora più solenne dalla non frequentissima deposizione delle reliquie dei santi: qui Simpliciano e i martiri Fedele e Carpoforo che vengono murate nell’altare –, le litanie dei Santi, la preghiera, l’unzione anche delle pareti della chiesa mentre si intona il canto antico, ambrosiano, del “Christe cunctorum” che ricorda la Dedicazione della Chiesa Cattedrale, l’incensazione e la copertura dell’altare con la raccolta parrocchia di San Carlo che si riempie di luce, simbolo della luce di Cristo portata al mondo attraverso la Chiesa.

Infine, viene scoperta anche una targa per ricordare la Dedicazione dal parte del cardinale Scola, circondato dentro e fuori dalla chiesa di moltissime persone, per un festa che, sul sagrato, diventa indimenticabile per l’intero paese.