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Milano

«La porta che si apre sull’ingiusta detenzione della malattia»

Nel segno della speranza la liturgia della Parola che l'Arcivescovo ha presieduto al Santuario Don Gnocchi nella Giornata del Malato

di Annamaria Braccini

11 Febbraio 2021

La malattia che è come la cella di una prigione che «fa sentire inquieti e risentiti», ma nella quale possono sempre irrompere scintille di speranza, aprendo la porta, umanissima, dell’amicizia, quella da cui tende la mano il Signore e, verso l’alto, «la porta del cielo», uno dei nomi di Maria nelle Litanie Lauretane.

L’Arcivescovo di Milano che, nella Giornata mondiale del Malato, presso il Santuario diocesano “Beato don Carlo Gnocchi” presiede l’incontro di preghiera intitolato appunto “Io sono la Porta”, dice tutto questo a quanti non hanno voluto mancare a un momento tanto significativo (trasmesso, peraltro, anche in streaming). Una visita che definisce «un tributo di affetto e gratitudine» per chi è impegnato nella “Don Gnocchi”, si fa anche memoria del fondatore del quale ricorrerà il 65esimo della morte il prossimo 28 febbraio.

Presenti – con le dovute distanze e regole di sicurezza – i malati in prima fila, i vertici dell’Ente, i medici e il personale, i volontari e gli immancabili Alpini, la celebrazione si articola in tre momenti. In altare maggiore, accanto all’Arcivescovo (che indossa la “cotta” di don Carlo donata ai Pastori di Milano), siedono il presidente della Fondazione don Enzo Barbante, il presidente emerito monsignor Angelo Bazzari, il responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale della Salute don Paolo Fontana, il rettore del Santuario don Maurizio Rivolta e il decano di San Siro, Sempione e Vercellina don Giovanni Castiglioni.

Vengono letti stralci del saggio di don Gnocchi La restaurazione della persona umana e dalla Lettera pastorale dell’Arcivescovo. Gabriele, da oltre trent’anni ospite della Fondazione e che, prima della pandemia, aveva raggiunto traguardi importanti come recarsi autonomamente al lavoro con i mezzi pubblici, racconta: «Questo è stato un periodo molto duro, abbiamo perso quattro amici e un operatore. Ma la nostra amicizia e l’amore che ci circonda ci aiutano. Per esempio le videochiamate hanno un grande valore. Sono fiero di essere qui alla “Don Gnocchi”», conclude. Lo sguardo di pace scambiato come segno è la prova concreta e tangibile dell’amicizia appena narrata.

Poi il secondo momento, “La Porta della Parola”, con la lettura del Vngelo di Giovanni, in cui risuona l’espressione che dà titolo all’incontro, e la meditazione del Vescovo. 

L’omelia

«Il malato è come un prigioniero. È chiuso nella sua cella. Non può uscire. Protesta di essere innocente. Si arrabbia. Cerca un colpevole. Forse Dio ce l’ha con lui? Perché? Che gli succederà? Che sarà della sua carriera? Per quanto tempo resterà ingiustamente imprigionato?». È in questa «ingiusta detenzione», come la definisce l’Arcivescovo, che però, a volte, si apre una porta: «C’è qualcuno che chiama. Il prigioniero accoglie l’invito e si mette in cammino: segue una voce amica». Amica di quell’amicizia che «è un dono meraviglioso, ma per chi è imprigionato è una grazia necessaria. L’incontro con una persona amica è come una porta che si apre su un sentiero promettente: il malato non può forse andare molto lontano, ma sa che c’è un sentiero. Un giorno forse potrà correre in libertà».

Da qui la sottolineatura: «Mi pare che si possa dire che, nelle nostre strutture, spesso il personale per il malato non è solo un tecnico che esercita una professione, ma un amico che offre a ciascuno la persuasione che qualcuno pensa a lui». 

E, naturalmente, c’è la porta che apre ancora di più l’orizzonte e «che non è solo un passaggio per entrare e per uscire. È la porta da cui entra il Pastore: entra e chiama a seguirlo. Entra e pronuncia il nome proprio del prigioniero. Entra e rivolge il suo sguardo che legge nella profondità dell’anima. Entra e ascolta le domande. È la porta della Parola. È la grazia dell’incontro con Gesù».

Infine, «nei giorni, o anni, dell’ingiusta detenzione viene un momento in cui la cella si apre, ma verso l’alto; invita, ma in una direzione misteriosa; attrae, ma insieme inquieta. Si apre la porta del cielo. C’è qualche cosa come un sorriso di Madre che rasserena, c’è qualche cosa come un colore di cielo che induce anche il prigioniero dell’angusta cella alla speranza. Nella porta del cielo, Maria infonde un desiderio struggente di pace e una consolazione indicibile».

L’omaggio alla Madonna

E proprio alla “Porta del cielo” è dedicato il terzo momento della Liturgia, in cui si rende omaggio a una statuetta della Madonnina, molto amata dai malati perché normalmente posta nell’atrio dei reparti del terzo piano, presso la quale due suore Salesie – Congregazione chiamata dallo stesso don Gnocchi a operare fin dai primi tempi – accendono due piccoli ceri. La preghiera, con brani dell’invocazione dell’Arcivescovo alla Madonnina del marzo scorso, viene letta da due volontarie. A conclusione dell’incontro, il presidente Barbante osserva, richiamando i 65 anni dalla scomparsa del beato don Carlo: «In questo Santuario è custodito lui e il senso profondo della carità che ha ispirato la sua opera. Non è un caso che abbia voluto intitolare i Centri a Maria, affidando a lei i piccoli e i malati. Questo rappresenta oggi una grande occasione per riscoprire il valore essenziale della cura e della relazione».

 

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