Sirio 26-29 marzo 2024
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Riflessione

La preghiera, intercessione “materna” al Padre che “com-patisce”

Un contributo di taglio teologico-biblico sull’efficacia misteriosa della preghiera, utile per i fedeli e per i preti in vista della Settimana Santa

di don Franco MANZI

6 Aprile 2020

È arduo parlare di preghiera di intercessione in mezzo alla tempesta che si è scatenata, da un momento all’altro, sull’umanità. Eppure chi crede nel Dio-Abbà di Gesù (cf Mc 14,36), che “com-patisce” con ciascuno dei suoi figli sofferenti, sente più che mai, in questi giorni ritmati da angoscianti “bollettini di guerra”, un desiderio primordiale di intercedere per chi sta male. Perciò attingiamo dalla sacra Scrittura una parola ispirata sull’efficacia salvifica della preghiera cristiana di domanda per le nostre necessità e d’intercessione per quelle altrui. Imploriamo luce da un passo denso della Lettera ai Romani (8,26-28), in cui l’apostolo Paolo ci rassicura:

«Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili; e [Dio Padre] che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché [lo Spirito] intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio».

Il dubbio di fede

Può capitare che persino questa profonda intuizione di san Paolo inasprisca il dubbio di fede che già caria la nostra preghiera di questi tempi, riportandoci alla mente un insegnamento misterioso di Gesù: «Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,8). «Ma allora – potrebbe obiettare il non credente che spesso alberga nel nostro cuore –, se Dio è davvero un Padre sempre e soltanto buono e se sa già ciò di cui necessitiamo, perché non ce lo concede subito, senza farsi tanto incensare?».

Un’obiezione simile sentiamo affiorare quando meditiamo, ad esempio, sul segno di Cana attestato nel Vangelo di Giovanni (2,1-12): quanta riluttanza ha mostrato Gesù prima di concedere quel benedetto miracolo di trasformare l’acqua in vino! Perché tanta ritrosia nei confronti dell’intercessione della Madonna, che di certo già credeva in lui?

In realtà, proprio contemplando Maria, «la credente» (Lc 1,45), intuiamo il «modo conveniente» di pregare (Rm 8,26). Di fronte a quella risposta così agghiacciante del Figlio – «Donna, che vuoi da me?» (Gv 2,4) –, Maria avrebbe potuto risentirsi. Invece, la sua compassione materna per quei due sposi era così intensa che riuscì a fare breccia nel cuore del Figlio e nell’amore anch’esso “materno” del Padre (cf Is 66,13).

I gemiti della preghiera

Il suggerimento che ci proviene dalla parola di Dio è d’imparare gradualmente a inserire il nostro lamento nell’efficace gemito dello Spirito. In che senso? Ce lo spiega sant’Agostino, suggerendoci di lasciare che il nostro cuore si esprima liberamente con Dio anche con dei gemiti, perché

«il pregare molto è bussare con un continuo e devoto fervore del cuore al cuore di colui al quale rivolgiamo la preghiera. Di solito la preghiera si fa più coi gemiti che con le parole, più con le lacrime che con le formule. Dio pone le nostre lacrime al suo cospetto e il nostro gemito non è nascosto a lui, che tutto ha creato per mezzo del Verbo e non ha bisogno di parole umane» (Lettera a Proba, 130, 10, 20).

I gemiti della preghiera autentica scaturiscono dalla percezione di essere deboli, anzi spesso impotenti di fronte a tante situazioni opprimenti della vita. Sono come i gemiti fisici che affiorano con violenza da una persona che non riesce a respirare. I gemiti sono senza parole, come gli spasmi affettivi dei bambini o il pianto a singhiozzi dei disperati. L’intera persona però vi si esprime con un’intensità che la comunicazione verbale non raggiunge. Quando una persona prega gemendo, la sua invocazione ha un’intensità simile. Non è che la preghiera verbale sia meno autentica, anche se Gesù ci ha messo in guardia dall’inutilità di una preghiera verbosa (cf Mt 6,7). Tuttavia, in certi casi, per un eccesso di dolore fisico o psichico, di preoccupazione o di rimorso, di fatica o di angoscia, non abbiamo nemmeno la forza o la voglia di formulare parole con Dio. Riusciamo soltanto a emettere gemiti perché la cruda realtà che ci sta travolgendo sembra soffocarci.

Ebbene, san Paolo e sant’Agostino ci rassicurano: questi gemiti sono già preghiera! Anzi, se sono animati da una fede tenace che spera quello che non vede (cf Eb 11,1) – come quella di Maria a Cana –, anelandovi come all’aria quando si sta soffocando, questi gemiti diventano potenti invocazioni che salgono fulminei al Cielo. Se poi scaturiscono da vera compassione “materna”, come quella di Maria per quei due sposi di Cana, allora sono una preghiera indubbiamente gradita a Dio-madre-e-padre. Spingono il Dio-go’el ad abbattere nel nostro cuore tutti i “fantasmi” di Dio che, sia pure inconsciamente, ci siamo costruiti: il dio giustiziere, il dio “tappabuchi”, il Moloch assetato di sacrifici, il dio-padre-padrone ecc. Le nostre preghiere fatte a gemiti, forse più ancora che le nostre azioni, sono l’acceleratore della storia della nostra salvezza

Il coinvolgimento dello Spirito

A irrobustire la nostra fragile preghiera di domanda è la consapevolezza di fede che i nostri gemiti si elevano al Cielo sotto l’impulso dello Spirito, che già sta intercedendo «con gemiti inesprimibili». Lo Spirito, effuso dal Crocifisso risorto sull’intero creato e sull’umanità di ogni tempo, unisce il nostro anelito di salvezza agli innumerevoli vagiti dell’intera creazione, che da millenni «geme e soffre le doglie del parto,… nella speranza… di entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,20-22).

Perciò, lasciandoci coinvolgere dallo Spirito nella sua poderosa spinta verso il Risorto che già ci attrae (cf Gv 12,32), imitiamo Gesù stesso, che, quando si scontrava con le difficoltà della vita, pregava il Padre dicendogli in buona sostanza:

«Ti dico la mia riconoscenza, Padre, Signore del cielo e della terra! Finora mi hai dato tutto e sento che continuerai a fare tutto il possibile per la salvezza mia e del mondo intero. Ne sono persuaso a tal punto che, anche in questa situazione di bisogno, ti ringrazio in anticipo per ciò che farai. Anzi, mi metto a tua disposizione per qualsiasi cosa sia utile in questo frangente alla realizzazione della tua signoria salvifica» (cf Mt 11,25-27; Lc 10,21-22).

Sulle orme di Gesù (1 Pt 2,21), anche noi impariamo a domandare al Dio-Abbà: «Venga il tuo regno» (Mt 6,10; Lc 11,2); cioè: «La tua signoria che sta salvando il mondo si realizzi in me e anche per mezzo di me».

Per quanto riguarda poi tutte le altre richieste, di cui, certe volte, non sappiamo nemmeno se siano utili alla realizzazione della salvezza divina nella nostra esistenza, non dobbiamo affatto rinunciarvi. Anzi, cresciuti nella fede fino a essere diventati bambini del regno dei cieli, possiamo continuare a insistere nelle nostre implorazioni, senza stancarci mai, confidando cocciutamente in un Padre infinitamente più buono di tutti i genitori di questo mondo (cf Lc 11,9-13). Il modello propostoci da Cristo stesso è la vedova che torna «senza fine a rompere la testa» al giudice incurante, esigendo da lui giustizia per un torto subito (cf Lc 18,5). E quanti torti anche noi subiamo ingiustamente dalla vita! Continuiamo allora a elevare le nostre incessanti suppliche «nello Spirito» (Ef 6,18), «con forti grida e lacrime a» Dio Padre «che può salvarci dalla morte» (Eb 5,7), dal male e dal maligno (cf Mt 6,13). Ma subito prima di terminarle, consegniamole con gratitudine e fiducia “infantile” nelle sue mani paterne e materne, mettendole sotto condizione:

«Abbà, tu che mi conosci meglio di me e che ben più di una madre non ti dimentichi mai di me, se quanto ti sto chiedendo è utile per la salvezza mia e altrui, ti prego di esaudirmi. Sento che lo farai e te ne ringrazio in anticipo. Se però, tu che mi conosci meglio di me stesso, prevedi che ciò che ti sto domandando non servirà a questo scopo, fa’ pure finta di niente!».

La potenza misteriosa dell’intercessione

Non la ragion pura, ma la stessa parola di Dio ci rivela che la potenza misteriosa della nostra esile preghiera di domanda è dovuta al fatto che lo Spirito prende tutti i nostri gemiti che anelano al bene e li unisce sull’“altare del mondo” agli incalcolabili vagiti della nuova creazione, immettendoli nella preghiera stessa del Figlio risorto. Da parte sua poi, il Figlio, mosso a compassione, «intercede per noi» presso il Padre (Rm 8,34), il quale fa concorrere tutto alla salvezza eterna dei figli che lo amano (cf v. 28). Con questa consapevolezza credente nell’onnipotente provvidenza di Dio, continuiamo a rivolgergli la nostra intercessione in mezzo alla tempesta, mettendoci a sua disposizione perché operi salvezza anche attraverso di noi.