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Riflessione

«Lampedusa, non dimentichiamo
la compassione»

La visita e le parole del Papa sono state una carezza di ringraziamento e di incoraggiamento per i volontari impegnati su questo fronte, ma anche uno scossone a chi si crogiola nel proprio benessere

di Roberto DAVANZO Direttore di Caritas Ambrosiana

14 Luglio 2013

Desidero commentare la straordinaria visita di papa Francesco a Lampedusa, ma lasciate che lo faccia mettendomi dalla parte dei tanti operatori della Caritas che, certamente, sono tra le persone più gratificate da questo che è stato il primo viaggio ufficiale del Vescovo di Roma fuori dai confini del Vaticano.

Penso anzitutto a quelli della Caritas di Agrigento, che più di ogni altro in questi anni hanno sostenuto l’impatto di quanti sono approdati su questo scoglio, porta dell’Europa. Ma assieme a loro voglio pensare anche a quelli delle tante Caritas disperse sul territorio italiano e che hanno a loro volta accolto, sostenuto, incoraggiato, introdotto nel nostro tessuto uomini, donne, bambini arrivati dalle periferie del mondo alla ricerca di una speranza di vita. Ai tanti volontari che nelle nostre parrocchie, senza clamori, senza proclami, continuano a far di tutto perché l’impatto col nostro mondo di questi esseri umani in fuga da guerre, violenze e miseria possa avvenire nel modo più pacifico e fecondo possibile. Per noi e per loro. La visita e le parole del Papa sono state una carezza di ringraziamento e di incoraggiamento per quanti si sono lasciati interpellare da un fenomeno che può anche non piacere, ma che è davanti agli occhi di tutti e che non tollera la logica dello struzzo.

Insieme, questa visita e le parole pronunciate sono state uno scossone per chi ha vissuto il fenomeno dei profughi con l’atteggiamento infastidito di chi si sente disturbato nella ricerca egoistica e borghese di un “benessere bolla di sapone” incapace di fare i conti con una realtà mondiale che non è quella del Mulino Bianco. Già, perché la sensazione è che dietro a quella «globalizzazione dell’indifferenza» di cui ha parlato papa Francesco, ci stia l’illusione di poter difendere il proprio star bene, il tenore di vita che ci siamo costruiti, facendo finta che certi problemi non esistano, che la gente tutto sommato possa star bene a casa sua e che semmai gli dovesse venire voglia di stare come noi, la si possa ricacciare indietro, anche a costo di gettarla in mare o tra le mani dei mercanti di esseri umani che tanto ci fanno orrore e disgusto.

Certo, la visita a Lampedusa di papa Francesco non risolve i problemi, ma almeno ripristina le priorità: prima la compassione per chi si trova in condizioni di estremo bisogno, poi il dovere dell’accoglienza, poi la ricerca delle soluzioni concrete. Comprese quelle di ripensare complessivamente le politiche estere dei Paesi occidentali, a partire dall’Europa, affinché si pongano le condizioni perché la gente non abbia bisogno di scappare da casa solo per poter sopravvivere. Questa scala di priorità si era come invertita: incapaci di dare risposte a un fenomeno globale, avevamo dimenticato persino la compassione. I gesti e le parole di papa Francesco forse non risolvono i problemi, ma possono diventare un faro per non dimenticare il dovere di essere umani.