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Duomo

«L’autentico perdono non abolisce
la giustizia, ma la compie»

«Solo l’espiazione, solo la disponibilità a pagare di persona il prezzo della riparazione può restituire dignità e stima di sé a chi sbaglia»: alla luce del fatto doloroso e sconcertante che ha colpito la Chiesa ambrosiana nei giorni scorsi, un passaggio significativo nell'omelia dell'Arcivescovo nella seconda domenica d'Avvento

di Annamaria BRACCINI

25 Novembre 2012

La salvezza che è data a tutti nel perdono autentico, che viene da Dio nella sua misericordia, salvezza universale che non abolisce tuttavia la giustizia, ma anzi la compie fino in  fondo. È la seconda Domenica dell’Avvento ambrosiano e in Duomo risuonano con chiarezza e forza le parole dell’Arcivescovo, che presiede la celebrazione eucaristica proseguendo nell’itinerario di predicazione unitaria per il tempo che prepara al Natale. Tempo privilegiato, nel quale il cardinale Scola ha voluto invitare in Cattedrale tutti i battezzati, ma anche chi è lontano dalla fede o è in ricerca. E allora la riflessione diviene occasione per sperimentare l’attesa del “Dio che viene”, come si intitola l’intero itinerario di Avvento, vivendo a pieno la nostra vigilanza come “Figli del Regno”, per usare l’espressione che guida questa Eucaristia.

La gente che affolla le navate – ormai è consueto vedere il Duomo “al completo” – comprende il senso di questa proposta, ascolta con attenzione le Letture, partecipa alla liturgia che, anche grazie all’animazione di associazioni e movimenti ecclesiali, richiama il ruolo fondamentale dei laici nella costruzione della Chiesa: questa settimana ci sono Comunità di Sant’Egidio, Scouts, Apostolato della Preghiera e Legio Mariae.

A partire dalla ricchezza della parola di Dio, l’Arcivescovo approfondisce il significato della grande profezia di pace di Isaia, una delle più importanti dell’Antico Testamento; richiama l’Epistola paolina agli Efesini; delinea la figura di Giovanni Battista attraverso il brano del Vangelo di Marco. Dice: «La salvezza domanda un cammino», una conversione del cuore «rappresentata in termini nitidi dallo stile di vita». Uno stile che interroga ciascuno, specie in un tempo come l’attuale, segnato da una fede troppo spesso indebolita, mentre, al contrario, «le donne e gli uomini di luce sono una risorsa per l’intera società, la casa abitata dalla famiglia umana».

Una casa “universale” fondata saldamente su una certezza che sorregge – la misericordia del Padre riguarda tutti i suoi figli -, ma che proprio per questo apre alla consapevolezza della nostra responsabilità «di fronte alle espressioni talora brutali del male, soprattutto quello ingiustificabile, contro i bambini, le donne, chi è in condizione di debolezza». Il pensiero va anche a dolorosi fatti dell’attualità che hanno ferito, in questi giorni, il cuore della credenti e della Chiesa ambrosiana (si veda più sotto il passaggio integrale, ndr). Prosegue l’Arcivescovo: «L’autentico perdono non abolisce la giustizia, ma la compie, la misericordia di Dio che salva non è un colpo di spugna che cancella le colpe». Solo la sincerità di chi delinque, nel chiedere perdono a Dio, alle vittime, alla società, «solo l’espiazione, solo la disponibilità a pagare di persona il prezzo della riparazione può restituire dignità e stima di sé a chi sbaglia».

Dunque, la giustizia umana che «mai deve ridursi all’aspetto vendicativo della pena», deve fare il suo corso, ma ognuno deve comunque «guardare dentro la colpa dell’altro, senza nulla minimizzare», ma nemmeno «rassegnandosi all’irrimediabile», con spirito di uomini di pace, di cristiani più autentici, di cittadini migliori.

Appunto, con uno stile di vita che in Avvento chiama anche a comportamenti molto concreti, sottolineati dal Cardinale: la preghiera in famiglia, la partecipazione anche alla Messa feriale, i gesti di condivisione e educazione all’amore e – lo suggerisce a conclusione della Celebrazione – la recita quotidiana di «una decina del Rosario».

Espiazione e cambiamento

Alla luce del fatto doloroso e sconcertante che ha colpito la Chiesa ambrosiana nei giorni scorsi, assume particolare rilievo un lungo passaggio dell’omelia del cardinale Scola (paragrafo 4 del testo integrale).

«La nuova evangelizzazione, cui i cristiani sono chiamati, poggia, quindi, sulla incrollabile certezza del disegno universale di misericordia cui la liturgia oggi ci richiama – ha richiamato l’Arcivescovo -. Il Prefazio lo approfondisce con parole piene di speranza: “Il peccato ci aveva dato alla morte… dalla carne di Cristo il tuo amore infinito ci ha riplasmato alla vita”. Nella prospettiva dell’eternità, che già si anticipa nell’Eucaristia, anche il male, persino il male che appare ingiustificabile, può essere circondato, da ogni parte, dal bene. Allora non ci sorprende la sconvolgente promessa contenuta nel Prefazio: “Padre Santo che sei Dio di misericordia e alla punizione della colpa preferisci sempre un generoso perdono”».

«Di fronte alle espressioni talora brutali del male, soprattutto quello contro i bambini, le donne, contro chi è in condizione di debolezza cosa significano queste parole? Sono forse una scusante? – si è poi chiesto l’Arcivescovo -. L’autentico perdono non abolisce certo la giustizia, ma la compie fino in fondo. Il perdono è il modo di Dio di salvare il passato. Spesso noi uomini di fronte al male compiuto reagiamo con sdegno e rabbia, ma poi concludiamo rassegnandoci all’irrimediabile: “Quello che è stato è stato”. Invece la misericordia di Dio che salva non è il colpo di spugna che cancella le colpe. La grazia dello Spirito che ci rende giusti è l’opera che ricostruisce l’uomo, anche il peccatore, anche chi delinque: le nostre azioni infatti ci seguono e continuano a segnare la nostra libertà. Solo la laboriosa penitenza, solo la sincerità e l’espiazione, solo la disponibilità a pagare il prezzo della riparazione può restituire la dignità e la stima di sé. In questo cammino di ricostruzione dell’uomo, anche quanto esige la giustizia umana deve essere assunto e sofferto come parte integrante di questo percorso di espiazione, che non si deve ridurre all’aspetto puramente vendicativo della pena».

«Nessuno può sottrarsi a questa regola indispensabile all’umana convivenza – ha sottolineato Scola -. L’espiazione è condizione di quel cambiamento chiaramente esigito dalla giustizia praticata e predicata dal Battista. Il domandare con umiltà il perdono al Signore, alle vittime e alla società mette il colpevole in condizione di abbracciare la sua vittima se e quando questa lo vorrà».

«Ma di fronte al male compiuto dal nostro fratello uomo quale deve essere la posizione dei Figli del Regno? Come andare costruttivamente oltre lo sconcerto, lo sdegno ed il dolore? – ha poi aggiunto -. Accettando anzitutto il contraccolpo della sua azione negativa nella nostra stessa persona. Orientando, con l’intensificarsi della preghiera, lo sguardo e il cuore al Crocifisso, il male altrui conduce a riconoscere le proprie colpe».

«Il dolore per la nostra colpa e il nostro peccato ci fa guardare, senza nulla minimizzare, alla colpa dell’altro dal di dentro della nostra fragile pochezza. Ci interroga circa la nostra responsabilità di fronte a noi stessi, agli altri e a Dio. Apre la strada al nostro cambiamento, aiuta la libertà di colui che ha sbagliato. In ogni caso ci rende, nello stesso tempo, uomini di pace, cristiani più autentici e cittadini migliori».