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Liturgia

L’uomo di fronte
al mistero della morte

La Conferenza episcopale italiana ha presentato la seconda edizione del Rito delle esequie, pubblicata dalla Libreria Editrice Vaticana. Diverse le novità

5 Marzo 2012

Una risposta alla tendenza, diffusa soprattutto nei contesti urbani, a “privatizzare” l‘esperienza del morire e a “nascondere” i segni della sepoltura e del lutto: nasce così la seconda edizione del Rito delle esequie, predisposto dalla Conferenza episcopale italiana e presentato a Roma il 2 marzo. Il testo liturgico, obbligatorio in Italia dal 2 novembre 2012, risponde alla diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vangelo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale caratterizzato da significativi mutamenti.

Il volume, edito dalla Libreria editrice vaticana, offre una più ampia e articolata proposta rituale e fornisce, in appendice, alcune indicazioni circa la cremazione dei corpi. Il tutto nel solco dell‘impegno nell‘applicazione della riforma liturgica conciliare. La nuova pubblicazione in lingua italiana del Rito delle esequie, infatti, fa seguito alla prima edizione apparsa nel 1974 sulla base di quella tipica del 1969.

Molte novità

Una prima novità riguarda la “visita alla famiglia del defunto”. Il primo incontro con la famiglia diventa per il parroco un momento di condivisione del dolore, di ascolto dei familiari, di conoscenza di alcuni aspetti della vita del defunto in vista di un corretto e personalizzato ricordo durante la celebrazione delle esequie.

Una seconda novità riguarda la “Preghiera alla chiusura della bara”: la sequenza rituale è stata rivista e arricchita per sottolineare e leggere alla luce della Parola di Dio e della speranza cristiana un momento molto doloroso. Quanto alla celebrazione delle esequie nella messa o nella liturgia della Parola, l‘arricchimento più significativo è dato da una più varia proposta di esortazioni per introdurre il rito dell‘ultima raccomandazione e commiato.

Nella seconda edizione del Rito non sono più contemplate “esequie nella casa del defunto”. I vescovi italiani hanno ritenuto questa possibilità estranea alla consuetudine locale e «non esente dal rischio di indulgere a una privatizzazione intimistica, o circoscritta al solo ambito familiare, di un significativo momento che di sua natura dovrebbe vedere coinvolta l‘intera comunità cristiana».

Un mistero che riguarda tutti

«Le esequie cristiane non sono uno spettacolo, anche se utilizzano la ricchezza e la pluralità di codici della liturgia», ha chiarito monsignor Domenico Pompili, sottosegretario della Cei e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali. Il nuovo rito, ha spiegato monsignor Pompili, può essere «un contributo a umanizzare il momento della morte, sottraendolo alla sua invisibilità e alla sua individualità, quando non alla sua spettacolarizzazione».

In una società in cui la morte è «rimossa dall’orizzonte della vita quotidiana», o al massimo intesa come «un evento che si affronta in solitudine», un «fatto privato per le persone comuni o “pubblico” per le celebrità», per il sottosegretario della Cei è urgente riscoprire il «carattere di mistero» e «collettivo» di questo evento. Di fronte alla spettacolarizzazione della morte, che a volte «si consuma sotto i riflettori», il rito funebre, per monsignor Pompili, ha la funzione di far riscoprire la morte come «cammino collettivo e comune».

Appendice sulle cremazioni

Una delle novità più significative è costituita dall‘appendice dedicata alle esequie in caso di cremazione. «La Chiesa accetta la cremazione, se non è decisa in odio alla fede, cioè per negare la risurrezione dei corpi proclamata nel Credo, ma non la incoraggia», ha spiegato monsignor Alceste Catella, vescovo di Casale Monferrato e presidente della Commissione Cei per la liturgia. Dietro l’aumento del numero delle cremazioni, ha aggiunto, «c’è anche il grande sforzo pubblicitario delle agenzie funebri che gestiscono queste pratiche».

Monsignor Angelo Lameri, collaboratore dell’Ufficio liturgico della Cei, ha puntualizzato come «la stessa denominazione di appendice vuole richiamare il fatto che la Chiesa continua a ritenere la sepoltura del corpo dei defunti la forma più idonea a esprimere la fede nella risurrezione della carne, ad alimentare la pietà dei fedeli verso coloro che sono passati da questo mondo al Padre e a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di familiari e amici». In questa prospettiva, è previsto che la celebrazione delle esequie preceda di norma la cremazione. Mentre, eccezionalmente, i riti previsti nella cappella del cimitero o presso la tomba si possono svolgere nella stessa sala crematoria.

Particolarmente importante l‘affermazione che la cremazione si ritiene conclusa con la deposizione dell‘urna nel cimitero. Ciò soprattutto per contrastare la prassi di spargere le ceneri in natura o di conservarle in luoghi diversi dal cimitero. Tale prassi infatti «solleva non poche perplessità sulla sua piena coerenza con la fede cristiana, soprattutto quando sottintende concezioni panteistiche o naturalistiche». Il rituale offre, perciò, «sufficienti elementi per una catechesi e un‘azione pastorale che sappiano sapientemente educare il popolo di Dio alla fede nella risurrezione dei morti, alla dignità del corpo, all‘importanza della memoria dei defunti, alla testimonianza della speranza nella risurrezione».