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Intervista

Magatti: una nuova stagione
per i cattolici italiani

Il sociologo dell’Università Cattolica reagisce così alle provocazioni contenute in un fondo di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul “Corriere della sera” l’8 aprile, su una Chiesa in declino come il Paese

di Pino NARDI

12 Aprile 2013

«Penso che per il mondo cattolico sia necessario chiudere una stagione e aprirne una nuova, guardando al futuro, non per l’ossessione del nuovo che non va mai bene, ma perché la storia cambia, come le sfide. E l’influsso di questo nuovo Papato, quando si svilupperà nel tempo, avrà conseguenze forti anche per l’Italia, per il cattolicesimo italiano». Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica di Milano, reagisce così alle provocazioni contenute in un fondo di Ernesto Galli della Loggia, pubblicato sul Corriere della sera l’8 aprile. L’editorialista sostiene che la Chiesa italiana sta declinando come il Paese, e afferma che la classe dirigente, a partire dalla gerarchia, diventa casta, autoreferenziale, scelta più per obbedienza che per qualità. Una lettura molto dura, che diventa ingenerosa rispetto a una comunità ecclesiale composita, che presenta realtà di grande vivacità nel Paese.

Magatti, come si interroga di fronte alla «periferica appartenenza» della Chiesa in Italia, come ha titolato il Corriere?
Rispondo affrontando due punti. Il primo: come sociologo mi convinco sempre più che l’economia e le istituzioni prosperano appoggiandosi su basi morali, che fondamentalmente sono generate da un riferimento religioso. Con tutti i limiti e le contraddizioni, l’Italia è un Paese di tradizione cattolica. Allora, da una parte, non si può pensare di far prosperare l’economia e l’istituzione a prescindere da questa radice; dall’altra, invece, sono tanti a pensare che sia possibile farlo. Tuttavia non sempre questa radice è all’altezza del suo compito. Quando il mondo cattolico è debole, contraddittorio, diviso, complessato rispetto alle altre culture o agli altri gruppi sociali, il Paese declina. Quando il mondo cattolico è coraggioso, ardito e unito, il Paese vive. Naturalmente si può ragionare a lungo sul perché in questi decenni il mondo cattolico non sia riuscito a essere all’altezza della situazione, malgrado la Chiesa rimanga il radicamento principale nella sfera italiana. Che il nostro rimanga un Paese cattolico, con tutte le bufere che ci sono, lo testimoniano l’attenzione, l’emozione, la gioia che ha suscitato il nuovo Papa. Questo richiederebbe una riflessione.

Tra l’altro Galli della Loggia, quando parla della Chiesa, in sostanza si riferisce alla gerarchia…
Infatti. La seconda considerazione è questa: non dimentichiamo che esistono anche dinamiche istituzionali, che la crisi italiana avviene nel momento di passaggio tra la fine di un Papato e l’inizio di uno nuovo. Anche questo ha la sua importanza. Già da mesi il Papato di Ratzinger si era avviato verso una china finale e poi si è concluso. Poi c’è stata la fase del Conclave: tutto questo, dal punto di vista istituzionale, contribuisce alla fragilità della Chiesa italiana. Quando ci sono questi passaggi, tante cose cambiano o si sente che cambieranno. Un aspetto non irrilevante.

Inoltre è necessario il rilancio di una presenza laicale matura, cioè non solo legata ai Vescovi che intervengono…
Sicuramente l’anno scorso sono state perse occasioni importanti anche sul piano politico-sociale. Si rischia a volte di essere come don Chisciotte, che combatte contro mulini a vento che non esistono più. Una stagione si è chiusa: penso che questo sia un Paese che, da una fase che può portare al disastro, potrebbe invece portare a una stagione nuova – speriamo – dal punto di vista politico, istituzionale ed economico. Mi auguro che la radice cattolica partecipi alla definizione di questa nuova stagione, a condizione che diventi consapevole delle sfide di oggi e guardi avanti, non semplicemente indietro.