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Mercoledì 7 settembre LE CLARISSE NELLA EX CASERMA DEI SERVIZI SEGRETI

14 Ottobre 2005

Ho l’occasione di girare un po’ con Marieta per Scutari. E’ una città con poco più di 100 mila abitanti. E’ circondata da montagne, fiumi e si affaccia su un grande lago. Ciò che colpisce di più il visitatore è il caos che vi regna. Il traffico è impressionante, sembra senza regole. I palazzi sono molto spesso in pessime condizioni: le facciate sono sbrecciate, oppure di molti colori per il semplice motivo che ognuno ha colorato come ha voluto la parte esterna del suo appartamento. Nonostante questa impressione non subito positiva, è interessante vagare per la città, perché vi si può trovare di tutto: dal carretto trainato dall’asino alla Mercedes, dalla vecchietta che vende i prodotti del suo orto su una bancarella di fortuna al ristorante di lusso. Insomma, a Scutari le sorprese non mancano mai.

E si rimane sorpresi anche varcando un pesante cancello di ferro nel cuore di Scutari. Durante il regime comunista chi varcava quel cancello iniziava a tremare di paura e terrore. Oggi si viene accolti dal volto sorridente di una clarissa. Con don Antonio e Marieta andiamo infatti a trovare le otto clarisse, quattro italiane e quattro albanesi, che da pochi giorni vivono nella ex caserma dei servizi segreti di Scutari.

E’ un convento di clausura nel cuore della città, costruito sul luogo del martirio di migliaia di persone. Si stima che nelle prigioni di quella caserma siano morte oltre mille persone e altre migliaia siano state incarcerate e torturate. Le clarisse ci fanno visitare l’ala in cui una volta c’erano le celle: sulle pareti si possono vedere ancora distintamente le incisioni lasciate dai prigionieri. C’è chi, coraggiosamente, ha inciso una croce, oppure, se era musulmano, la mezzaluna. Durante il regime era vietato ogni credo religioso, chiese e moschee erano state trasformate in magazzini, palestre o cinema. «Oggi quelle celle diverranno un memoriale delle sofferenze subite dal popolo albanese», mi spiegano, «e presto quella parte del convento sarà aperta al pubblico, perché tutti possano vedere e ricordare».