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Milano

Mettere a servizio del bene comune ogni tradizione e dono ricevuto

Per la Veglia Ecumenica di Pentecoste, promossa dal CCCM e dal decanato “Giambellino”, centinaia di fedeli di diverse Confessioni hanno camminato e pregato insieme tra le vie del quartiere

di Annamaria BRACCINI

19 Maggio 2018

Sono in centinaia a camminare tra le vie di un quartiere storico della periferia milanese quale è il Giambellino, oggi, tuttavia, impegnato in una faticosa riqualificazione che già mostra tanti risultati che parlano di speranza e di un domani più vivibile.
Forse anche per questo la Veglia Ecumenica di Pentecoste, proposta da anni dal Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano e, per l’occasione, dal Decanato “Giambellino” nel cui contesto si svolge la Celebrazione, è suggestiva e partecipata. Con l’Arcivescovo e i sacerdoti, sono molti gli abitanti della zona che si mescolano ai fedeli delle 19 diverse Confessioni Cristiane aderenti al CCCM – è presente anche la Chiesa Protestante Pentecostale Ministero Sabaoth – accompagnati dai loro Ministri di culto. Volti che parlano di decine di provenienze diverse, anche perché il quartiere è tra i più multietnici della metropoli.
E così si procede in 4 tappe, a partire dalla Cappella del Carcere minorile “Beccaria” (monsignor Delpini entra prima nella struttura per visitare i ragazzi reclusi) dove il benvenuto è porto dalla presidente del Consiglio delle Chiese, Sara Comparetti che parla di un progetto condiviso, fin dalla sua ideazione, per «tessere relazioni e costruire legami», come si intitola l’intera Veglia.
La testimonianza del Cappellano dell’Istituto penale, don Claudio Burgio, definisce per intero il senso della prima tappa che ha come tema, “I legarmi feriti”. «Questo è un presidio. Vogliamo aiutare questi ragazzi imprigionati da una cultura materiale assordante, a evolvere dalle proprie ombre. Ma ognuno, per il suo ambito, deve essere testimone credibile di una vita diversa. Non vediamoli come ragazzi cattivi – molti desiderano solo avere una famiglia e un lavoro – ma come coloro che possono aiutarci a ritrovare una coscienza vera».
«Il “Beccaria” è un luogo che parla da solo e parla di noi tutti, per questo abbiamo voluto partire da qui», dice, da parte sua, il decano del “Giambellino”, don Antonio Torresin.
Poi, la sosta “Lasciatevi riconciliare” davanti alla chiesa di San Giovanni Battista alla Creta. La pastora valdese Daniela Di Carlo, voce guida per questa sezione dice: «Sappiamo che le nostre Chiese non sempre sono state all’altezza della loro vocazione, confessare le nostre colpe, chiedere perdono, rende la nostra testimonianza più credibile, perché, noi per primi, ci lasciamo riconciliare da Dio». Particolarmente intensa la Confessione di peccato che ne segue, proposta dalla Chiesa Cattolica, Protestante e Ortodossa.
I gesti simbolici, i canti in più lingue, arricchiscono ogni momento, anche la terza tappa, “Ricostruiamo la casa”, significativamente celebrata davanti alla Casetta Verde “Elio Pianezzola” in via Odazio. Una struttura di proprietà comunale, emblema del quartiere multiforme che chiede cultura (vi è una piccola biblioteca) e luoghi di riferimento per l’elaborazione di percorsi comuni. «Questo quartiere è un laboratorio. Come è difficile vivere insieme, eppure qualcosa si muove, ci sono germi di bene, uomini e donne provano a ricostruire un tessuto sociale di convivenza, rompendo i muri dell’indifferenza», sottolinea la voce-guida Valentina Capuano, pastora della Chiesa Esercito della Salvezza.
Infine, nella parrocchiale Santo Curato d’Ars, il momento conclusivo, intitolato “Il miracolo dello Spirito, sinfonia di voci”. Un miracolo «che non cancella, ma esalta le differenze e insieme le armonizza», osserva il parroco don Renzo Marnati.
«L’ecumenismo non è forse camminare insieme per capire cosa significhi vivere l’Evangelo oggi in Italia, cercando di seguire la voce della storia e della Scrittura?», chiede ancora Comparetti.
Il canto di invocazione dello Spirito e la lettura del brano degli Atti al capitolo 2, proclamata in melodia ortodossa romena, precedono la meditazione finale dell’Arcivescovo.
«Preghiamo lo Spirito santo perché ci dia la gioia di vivere l’ecumenismo in modo più naturale e di poterci intendere in modo più semplice».
Ma come passare dall’ecumenismo «faticoso e culturale» a uno «alla portata di tutti»?
Di fronte allo scoraggiamento personale e a un cammino segnato da sforzi e stanchezze, il Vescovo chiede, allora, il «dono dello Spirito che è come un vento amico che spinge a largo, scivolando sull’acqua, la barca a vela del cristianesimo, rendendo più agevole il nostro andare».
Una via facile – questa – che si apre praticando la docilità «e non impuntandosi».
«L’arte della docilità è lasciarsi condurre; è discernimento capace di riconoscere il vento amico dell’obbedienza che sperimenta che è più semplice fare la pace che la guerra, riconciliarsi che contrapporsi, accogliersi che escludere».
Infine, la terza peculiarità di una tale docilità nel seguire lo stile di Cristo: «Considerare i doni che riceviamo, come una vocazione a servire. A ciascuno, infatti, è stata data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune. Ogni Confessione Cristiana, rendendosi conto dei suoi talenti e della ricchezza della sua tradizione non si chieda solo come difenderla, ma come offrirla. Scendi Spirito perché la Chiesa sia più bella, più unita, più lieta, accogliendo tutti coloro che professano la fede nel Signore Gesù».

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