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Catechisti in dialogo

Nel villaggio della comunicazione
della fede

A partire da un’apologodi Kierkegaard, una riflessione sulla condizione dei cristiani adulti chiamati oggi a proclamare il Vangelo

di don Antonio COSTABILE Responsabile Servizio per la Catechesi della Diocesi di Milano

7 Aprile 2013

Capitò, tanto tempo fa, che in un circo viaggiante in Danimarca si sviluppasse un incendio. Il direttore mandò al vicino paese il clown già abbigliato per lo spettacolo. Il clown arrivò affannato al villaggio e supplicò i paesani di accorrere per dare una mano a spegnere l’incendio, che rischiava di propagarsi alle case del paese. Ma le grida del clown furono interpretate come un astuto trucco del mestiere: lo applaudivano e ridevano fino alle lacrime. Il povero clown tentava inutilmente di spiegare che non si trattava affatto di una finzione, di un trucco, bensì di un’amara realtà, e li scongiurava ad andare. Il suo pianto non faceva altro che intensificare le risate. La commedia continuò così finché il fuoco s’appiccò realmente al villaggio e ogni aiuto giunse troppo tardi: sicché circo e villaggio andarono entrambi distrutti dalle fiamme.

L’apologo raccontato da Søren Kierkegaard e ripreso da Joseph Ratzinger nel suo libro Introduzione al cristianesimo può alludere non solo alla condizione del teologo oggi, ma del cristiano adulto e in particolare del catechista, chiamato a proclamare la Buona Notizia. Il Papa emerito Ratzinger scriveva: «Chi tenta di diffondere la fede in mezzo agli uomini ambientati nella vita e nel pensiero attuale, può realmente avere l’impressione di essere un pagliaccio, oppure addirittura un risuscitato da un vetusto sarcofago, che si presenti al mondo odierno avvolto nelle vesti e nel pensiero degli antichi, e pertanto assolutamente incapace di comprendere gli uomini dell’epoca nostra e di esser compreso da loro».

Certo, i punti di vista di lettura dell’apologo possono essere diversi e tutti molto ricchi di spunti di riflessione per noi oggi. Che cosa non funziona, “non passa” nella comunicazione di un messaggio tanto urgente e necessario per tutti tra il pagliaccio e la gente del villaggio? Quali sono le cause immediate e più profonde di una reale incomunicabilità? C’è forse una responsabilità reciproca tra chi annuncia e chi riceve il messaggio? Il linguaggio e la forma stessa della comunicazione usati sono inadeguati? Sono domande aperte che vorrei lasciare al lettore, invitando insieme a farne motivo di riflessione e di scambio con altri. Fuor di metafora oggi è ancora più urgente chiedersi come superare questo “disagio” nella comunicazione della fede e in particolare nella catechesi da parte delle diverse figure educative della comunità cristiana.

Debbo confessare che sono lietamente sorpreso in questi giorni dalla capacità del nuovo vescovo di Roma e guida di tutta la Chiesa universale, Papa Francesco, di comunicare con libertà di spirito, con una immediatezza e profondità sorprendente, con un linguaggio non solo verbale, ma gestuale, mimico, relazionale, limpido e coinvolgente. È un dono speciale che la Chiesa intera sta ricevendo per essere di nuovo e in modo più fresco ed efficace capace di annunciare il Vangelo; è uno stile che da una parte rivela tutta la bellezza dell’annuncio evangelico e dall’altra sa cogliere e interpretare le vere attese dei suoi uditori.

La catechesi è una forma di comunicazione che non può non tenere insieme armonicamente questo stile, questo modo di porsi, di entrare in empatia con l’altro e insieme mostrare la verità e la bellezza dell’Evangelo.