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Riflessione

«Ora i miei occhi hanno visto la tua salvezza»

Pubblichiamo l’omelia che l’Arcivescovo ha pronunciato nella Festa della Presentazione del Signore in occasione della Visita pastorale alle comunità di San Martino, San Guglielmo in Castellazzo e Santa Monica in Ospiate nel Decanato di Bollate

di monsignor Mario DELPINIArcivescovo di Milano

2 Febbraio 2020

Proprio nel tempio

Il tempio è la casa dedicata al Dio eterno, è il luogo in cui è custodita la memoria delle opere di Dio compiute nel passato, è dove sono collocate le tavole dell’alleanza stabilita con i padri perché tutte le generazioni ne abbiano memoria e osservino fedelmente i precetti. Il tempio è, si potrebbe dire, il luogo del tempo immobile, della ripetizione dei riti antichi, della celebrazione delle meraviglie che Dio ha compiuto in passato.

Il tempio può quindi diventare vecchio, nei tempi che cambiano può essere guardato come un anacronismo, un museo, un monumento da visitare.

Qualche cosa di simile potrebbe anche succedere alle nostre chiese, alle nostre comunità: imprese meravigliose da ricordare, antiche glorie da celebrare, e, in conclusione, presenze anacronistiche da visitare come si visita un repertorio di cose d’altri tempi.

Proprio i miei occhi

Nel tempio è convocata la mia storia personale, le mie speranze che il passare dei giorni ha forse stancato, le mie energie che si sono logorate. Ciascuno viene con le sue attese e le sue frustrazioni, con il suo slancio e le sue stanchezze. Proprio Simeone, uomo giusto, che aspettava la consolazione di Israele, proprio Anna che aspettava la redenzione di Gerusalemme, proprio noi, popolo di Dio che abitiamo in questa terra. Proprio noi, propri i nostri occhi sono chiamati e abilitati a vedere la salvezza, la luce, la gloria!

Quasi non si spera più: sembra talora che si viva senza aspettare niente, persino nella comunità cristiana.

Proprio ora

L’evento è proprio per oggi, proprio in questa situazione che è spesso interpretata come un tempo di declino inarrestabile, di desolazione irrimediabile. Proprio questo tempo, in questi giorni qualsiasi in cui la banalità diventa un evento, e non c’è né attesa né traccia di una redenzione, di una consolazione.

A Gerusalemme Anna viveva con i suoi 84 anni in trepida attesa e in quel momento, nell’incontro con il Bambino, si mise anche lei a lodare Dio.

La visita pastorale

La visita pastorale è occasione per visitare le comunità e far risuonare parole di Vangelo. Le comunità sono vive, attive, impegnate. Talora possono avere qualche tratto del “tempio”, cioè del luogo in cui si ripete l’identico e non si aspetta più nulla.

Il vescovo visita le Comunità pastorali, celebra nelle parrocchie, incontra i Consigli pastorali, saluta le persone e i gruppi che riesce a incontrare: è un modo con cui esprime quella sollecitudine per le comunità e le persone e per il loro cammino di fede. Preti, diaconi, consacrati e consacrate, operatori pastorali che sono inviati dal Vescovo esprimono nell’ordinario questa sollecitudine del Vescovo. La presenza del Vescovo è l’occasione per dire di persona che mi state a cuore e per esprimerlo in un incontro di persone. La presenza del Vescovo può essere lo strumento dello Spirito per dire la qualità del proprio qui, del proprio ora, del proprio con i miei occhi.

In questa occasione possiamo raccogliere dal Vangelo l’indicazione di qualche percorso per aprire gli occhi e riconoscere la presenza di Gesù che viene a illuminarci e salvarci. Il Vangelo rivela come avviene questa rivelazione che avvolge di gloria chi incontra il Bambino.

In primo luogo è lo Spirito Santo che muove Simeone: la docilità allo Spirito significa imparare ad ascoltare le Scritture piuttosto che le statistiche, valutare piccolezza e grandezza secondo i criteri evangelici piuttosto che secondo la risonanza mediatica, essere umili e lieti piuttosto che amareggiati e presuntuosi.

In secondo luogo si deve imparare ad accogliere tra le braccia il Bambino e a benedire Dio. L’incontro con Gesù non è un discorso, un pensiero, un sentimento, una decisione. È l’incontro con il Verbo fatto carne, con Gesù portato da Maria e Giuseppe al tempio: è un abbraccio, un peso, un ingombro, una forma di tenerezza e di commozione. La preghiera, la meditazione delle scritture, la celebrazione liturgica si possono vivere come un adempimento consueto che si svolge “nel tempio”, il luogo della conservazione e della ripetizione; ma si dovrebbero vivere piuttosto come persone che accolgono tra le braccia il Figlio di Dio che si è fatto figlio dell’uomo.

In terzo luogo il cantico. Lo sguardo credente di Simeone si fa voce e cantico per esaltare l’opera di Dio che non solo compie le promesse fatte a Israele, ma illumina tutte le genti. L’intenzione della salvezza universale è scritta nella presenza del Bambino. La vita consacrata di fatto è ed è stata una proposta di vita che ha convocate persone da ogni dove intorno a un carisma, a una promessa di vita buona, a un umanesimo persuasivo.

Anche per questo il Vescovo visita le singole comunità: per dire che non esistono solo le singole comunità. Tutte le comunità fanno parte della Chiesa, sono chiamate a sentirsi in comunione entro le parrocchie, nella Comunità pastorale, nel decanato nella Diocesi, tutta la Chiesa vive sulla terra degli uomini per annunciare che la luce di Gesù illumina tutte le genti, la salvezza è preparata davanti a tutti i popoli.