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Intervista

«Quando suor Enrichetta mi venne incontro a San Vittore…»

La toccante testimonianza di monsignor Giovanni Barbareschi, sacerdote “ribelle per amore”, che per il suo impegno nella Resistenza fu incarcerato a San Vittore

di Annamaria BRACCINI

13 Giugno 2011

«Sono stato arrestato il 15 agosto 1944 con l’accusa di aver aiutato ebrei e di aver diffuso un giornale clandestino. Era la sera del giorno stesso in cui ho detto la mia prima Messa». Lo racconta, con un filo di emozione nella voce e nella memoria – peraltro sicurissima – monsignor Giovanni Barbareschi, classe 1922, prete ambrosiano appunto dal 1944 e in quei giorni impegnato nella Resistenza. «Dopo la cattura, fui portato subito a San Vittore e mentre attendevo che mi assegnassero una cella – continua -, ricordo che mi venne incontro suor Enrichetta, sussurrandomi due parole chiare che non ho dimenticato: “So che lei è un prete” e, poi, “Si fidi di me”». «I giorni che seguirono furono difficili e molto dolorosi in senso fisico e spirituale per gli interrogatori delle SS, ciò che più temevamo: non mi vergogno di dire che avevamo paura. Si era allora concordato – tra noi detenuti del V Raggio – un gesto in codice: se il prigioniero torchiato dai nazifascisti fosse riuscito a resistere alle torture e a non rivelare nulla di compromettente per gli altri, avrebbe alzato il braccio destro, tornando in cella».
«Il ricordo più bello che ho della futura beata – continua monsignor Barbareschi – è appunto legato a un mio interrogatorio, uscito dal quale, per la forza delle violenze subite, non potevo nemmeno alzare il braccio. Suor Enrichetta che era vicino a me ed era al corrente dell’accordo tra i prigionieri, tentò lei, al mio posto, di comunicare ai partigiani che riuscivano a guardare il corridoio dagli spioncini delle celle, che non avevo parlato. Un milite fascista vedendo che la suora agitava un poco il braccio, insospettitosi, chiese il perché dei gesti e lei, con incredibile prontezza di spirito, fece il segno della croce, aggiungendo: “Tra noi religiosi ci si saluta così”». Forse, anzi certo, è anche per questo che monsignor Barbareschi ripete il suo auspicio: «Spero che presto venga intitolata una strada di Milano alle “Suore della resistenza”, religiose e donne coraggiosissime». Appunto, come suor Enrichetta Alfieri.