Share

1 febbraio

San Giuseppe Calasanzio,
partire dai lontani

Visita dell'Arcivescovo, che celebrerà la Santa Messa e incontrerà i sacerdoti del Decanato San Siro. Il parroco padre Paolo Rocca: «Poniamo l’accento soprattutto sullo sforzo missionario»

di Cristina CONTI

30 Gennaio 2015

Domenica 1 febbraio il cardinale Angelo Scola si recherà in visita nella parrocchia di San Giuseppe Calasanzio a Milano, in zona San Siro (via Don Gnocchi 16). Alle 10.30 celebrerà la Santa Messa e al termine incontrerà i sacerdoti del Decanato San Siro. «La visita del Cardinale ha due motivazioni – spiega il parroco, padre Paolo Rocca, Scolopio -: l’incontro col Decanato San Siro e la celebrazione dei 50 anni di consacrazione della nostra chiesa, voluta dal cardinale Montini e avvenuta il 26 maggio del 1965. I Padri Scolopi hanno costruito anche un pensionato per studenti e lavoratori. Abbiamo chiesto che l’Arcivescovo venisse ora per sottolineare questo evento così significativo per il cammino della comunità».

Avete organizzato iniziative particolari?
La preparazione ha riguardato soprattutto il tema della famiglia. Il 25 gennaio si è svolto un dibattito dedicato a famiglia e gender che ha visto la partecipazione di un esperto nazionale, l’avvocato Gianfranco Amato, presidente di Giustizia per la vita, e l’infettivologa Chiara Aztori, che ha presentato il problema da un punto di vista scientifico e medico. Prossimamente, nella parrocchia dell’Addolorata avrà invece luogo la presentazione di un romanzo, dedicato al rapporto tra famiglia e valori. Abbiamo poi avuto una veglia di preparazione giovedì sera e abbiamo cercato di coinvolgere tutta la comunità nelle messe festive e feriali.

Quali sono i problemi del vostro territorio?
Ci sono zone più popolari e altre più “in”. Gli stranieri, soprattutto di fede musulmana, sono presenti in particolare nelle parrocchie di San Pietro e dell’Addolorata e con loro non è facile avere un dialogo, ce ne accorgiamo soprattutto quando andiamo a benedire le famiglie. Si sentono molto il problema della casa e quello del lavoro. I poveri aumentano progressivamente.

Come siete organizzati dal punto di vista pastorale?
Il nostro cammino è iniziato nell’anno ’95/’96. Ci siamo ispirati al metodo «Nuova Immagine di Parrocchia» per costruire una chiesa di comunione e di evangelizzazione. Il nostro obiettivo è partire dai lontani: poniamo l’accento soprattutto sullo sforzo missionario, un’aspirazione difficile da tradurre nella pratica. Ogni anno facciamo un progetto pastorale con slancio missionario, tenendo conto della Chiesa diocesana e universale.

E quali sono le vostre attività?
Abbiamo proposte un po’ enfatizzate, ma semplici, come una lettera alle famiglie che raggiunge tutti e che non è il classico bollettino parrocchiale. Celebriamo alcuni momenti di preghiera (per esempio il Rosario) nei condomini o in alcune zone della parrocchia, la Festa della Vita con i genitori dei bambini che hanno ricevuto il Battesimo nell’anno precedente. Organizziamo una Via Crucis per le vie della parrocchia e una raccolta viveri a cui partecipano tutti. Ci sono stati due eventi molto importanti: la settimana mariana con la Madonna di Fatima nel maggio 2011 e nell’ottobre 2012 una missione popolare in parrocchia, con 40 missionari tra frati e suore che hanno un po’ «ribaltato» il quartiere e hanno organizzato momenti particolari, tra cui il catechismo settimanale sui Dieci Comandamenti, gruppi di ascolto della Parola di Dio nelle case (un significativo frutto della missione, rimasto ancora oggi) e un incremento dell’adorazione eucaristica. A livello decanale abbiamo anche iniziative per separati e divorziati. I gruppi parrocchiali non sono ancora totalmente convergenti. C’è una fede un po’ individualistica e molta preoccupazione per il futuro, soprattutto per lavoro, figli e disponibilità economiche.