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San Silvestro

Scola al Trivulzio: «Rimettere
al centro la persona»

L'Arcivescovo, come tradizione, si è recato al Pio Albergo Trivulzio per il Canto del Te Deum di fine anno. «Iniziamo il nuovo anno con spirito nuovo»

di Annamaria BRACCINI

31 Dicembre 2014

«Il Capodanno è solo una consuetudine se non si cambia il cuore, se non lo si vede come l’occasione di un nuovo inizio, se non si sente la responsabilità di guardare con un atteggiamento rinnovato alla realtà che ci circonda. Per questo vi chiediamo scusa se non siamo capaci di rimettere al centro le vostre persone come dovremmo fare, perchè questa è una forma di civiltà».
Così il cardinale Scola che, come tradizione, visita il Pio Albergo Trivulzio per il canto del Te Deum nell’ultimo giorno dell’anno, si rivolge direttamente agli anziani, grandi vecchi e malati che sono riuniti nella chiesa settecentesca interna all’Istituto.
Spazio quest’anno in ristrutturazione – il 28 novembre ne è stata dichiarata la inagibilità – ma riaperto brevemente proprio per la presenza dell’Arcivescovo, come ricorda il cappellano don Carlo Stucchi portando il benvenuto a nome di degenti e personale. In prima fila siedono Claudio Sileo, solo da ieri nominato commissario del Trivulzio stesso, i rappresentanti della Regione, Cantù, del Comune, Majorino, il vicepresidente della provincia Maerna. Tanti, appunto, gli anziani e i malati che circondano il Cardinale, così come i sacerdoti, i medici, gli infermieri, i volontari, i parenti degli ospiti.
E alludendo appunto ai lavori in corso, il cappellano dice: «Anche la nostra società ha bisogno di essere messa in sicurezza perchè ritrovi il senso del vivere. In tutto c’è un senso, una salvezza per cui vale la pena sperimentare fatiche e difficoltà. È Gesù che imprime significato alla vita anche se essa è segnata da malattia irreversibile o da dolorosa vecchiaia».
Insomma, una "ristrutturazione" dei cuori per parlare di speranza, anche e forse soprattutto la dove si soffre come alla "Baggina", «gloriosa istituzione», come la chiama Scola. Da qui prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo, tornato da poche ore dal pellegrinaggio ambrosiano in Terra Santa, «luoghi particolarmente problematici di cui – sottolinea – ho ancora negli occhi la situazione drammatica che facciamo fatica ad immaginare, basti pensare ai 130.000 morti in due anni, per la guerra in Siria o al milione e più di profughi».
Eppure – continua – ciò che «mi ha molto colpito è la speranza dei cristiani, per cui nonostante tutto vogliono andare avanti».
Questa la logica, suggerisce l’Arcivescovo, con cui vivere il Te Deum, anche se «non possiamo non chiederci perchè lodiamo Dio e quali sono i doni che abbiamo ricevuto a livello personale, cittadino, delle nostre terre ambrosiane, europeo e internazionale».
Il pensiero è anche per chi vive la malattia e il dolore quotidiano al Trivulzio – Âper il male che è in ognuno di noi, per la vita che facciamo»: occorre, sapere che c’è sempre una salvezza. Quella che la preghiera del Benedictus, cantato nel Te Deum, esprime a pieno quando definisce il Signore "Colui che ha suscitato per noi una salvezza potente".
«Il Dio bambino che nasce,indica la potenza dell’impotente, come è impotente un bambino o un grande anziano. Il sì al Dio bambino che ci ha preceduto e ci precede, che ci vuole bene, consente di sperare, come hanno detto i fedeli della Chiesa di Terra Santa. Continuiamo a sperare con energia e con sobria letizia». Questo l’augurio dell’Arcivescovo che invita a essere consapevoli che in tutte le opere umane c’è un inizio e una fine e, dunque, «dobbiamo abituarci a vedere anche la morte come compimento della stagione terrena, alla luce di ciò che si è fatto, dell’educazione dei figli, delle relazioni vissute, dell’aver portato il dolore nostro e degli altri, dell’edificazione di una società giusta».
Un auspicio che ha un nome «rimettere l’uomo al centro, dal concepimento fino al termine naturale della sua vita». in tale contesto, chiara la puntualizzazione del Cardinale: «Se si ha ha uno sguardo sulla società intera e non lo comunica esprimendo le proprie convinzioni toglie qualcosa alla società stessa».
E, infine, ancora l’Arcivescovo si rivolge agli ospiti: «Non abbandonatevi al rischio di pensare che la malattia e i grandi acciacchi rendano inutili le vostre persone. Dovete essere consapevoli che già da ora, per la potenza salvifica di Dio, siete un valore unico e irripetibile. Auspicando che i nostri piccoli possano imparare da voi e dalla vostre esperienze, vi chiediamo scusa se non siamo capaci di farlo, come, come ci chiedono Milano e la nostra storia e dicono luoghi come questo che affondano nelle radici della nostra tradizione. I motivi di speranza e le luci non mancano per chi crede nella potenza del Dio bambino e anche per chi dice di non credere, ma persegue la giustizia e la libertà per il bene e l’amore di tutti. Abbiamo la certezza che Dio non ci lascia, ci è vicino, anche nel momento del trapasso finale, egli ci tende la mano, ci attende in modo che ciò che ha avuto inizio in noi duri per sempre».
E prima di lasciare la struttura – in riferimento alla difficile situazione del Trivulzio, aveva detto al neo Commissario «ascolti tutti e dialoghi, coraggio, ce la farໝ – un incoraggiamento: «Qui diventa acuto un problema che si vede in tutta la società civile, il fatto di vivere insieme è un fatto sociale che deve diventare politico attraverso il dialogo e lo sforzo di amicizia civica, attraverso visioni diverse da confrontare senza paura perchè esistono, nella società democratica, dimensioni pattuite che rendono possibile prendere decisioni, avendo ascoltato tutti».

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