Share

Milano

Scola: «Come san Carlo teniamo sempre
il Crocifisso tra le mani»

Il cardinale Scola ha presieduto il Pontificale nella Solennità di san Carlo Borromeo. «Eucaristia, cura appassionata del gregge, preghiera, ascesi: ecco i lineamenti di san Carlo con cui vogliamo immedesimarci», ha indicato l’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

4 Novembre 2016

“Il primo libro su cui meditava, sul quale insegnava a meditare e che teneva tra le mani era il Crocifisso. Questo libro correggerà i vostri costumi: il Crocifisso orienterà la vostra vita”, scriveva san Carlo Borromeo in uno dei suoi Discorsi al Clero. 
«Quale è la radice della confusione di oggi, se non il fatto che i costumi stanno cambiando radicalmente?», chiede, quasi a se stesso, il cardinale Scola che presiede, in Duomo, il Pontificale appunto nella Solennità del copatrono della nostra Diocesi, dicendo così del Santo predecessore e indicando la forza di un’autorevolezza che veniva dalla conoscenza del sacrificio del Signore e dalla immedesimazione in Lui, nel suo dono totale.  
«Da qui la devozione al Santo Chiodo che san Carlo portò personalmente in processione per scongiurare il pericolo della peste del 1576. Anche noi lo faremo nella prossima Quaresima nel contesto della visita a Milano del Santo Padre, portando il Santo Chiodo nelle sette Zone Pastorali della Diocesi come segno di profonda devozione», ricorda l’Arcivescovo.         
Fu, infatti, il conformarsi a Cristo la ragione della straordinaria dote di riforma della Chiesa e del Clero operata da san Carlo, nota ancora il Cardinale: «Ristabilire questa integrale relazione con il Signore è ciò che conta veramente e di questo, come dice il Papa, non si può convincere solo argomentando o con il ragionamento. Si può, però, vivere tale rapporto e renderlo vivibile agli altri».  
Per questo, il Borromeo fu testimone autorevole, in vita, e Santo dopo la morte, «perché si coinvolgeva nella testimonianza come primario fattore di evangelizzazione, secondo un metodo che vale anche per la nostra generazione in un mondo assai confuso. Appunto il metodo dell’immedesimazione a Gesù, alla sua mentalità, ai suoi sentimenti, come stiamo ricordando in  questi due anni con la Lettera pastorale “Educarsi al pensiero di Cristo”». 
Due gli elementi, dell’azione riformatrice borromaica, che stanno particolarmente a cuore all’Arcivescovo e che egli, infatti, riprende. «La ricostruzione di una Chiesa che, per molti aspetti, era in rovina. Lo sguardo del cristiano è realistico perché è intero su Dio e su gli altri, su tutta la realtà ecclesiale e civile, sul cosmo in cui viviamo che, tante volte, ci infrange con colpi terribili come il terremoto che ha colpito i nostri compatrioti nel Centro Italia». 
Non ci fu, in effetti, aspetto della vita della Chiesa e della società del suo tempo, di cui san Carlo non si occupò, suggerisce ancora Scola. «Era certamente un grande Santo, ma, come Vescovo, capace di una dote necessaria: la guida, la dote del governare, che espone alla solitudine e mette alla prova ogni forma di autorità». 
In secondo luogo, san Carlo – concependo la sua riforma come cura integrale del popolo di Dio – «fu un Pastore severo, ma padre», proprio perché il Pastore deve essere padre. 
Come Giovanni scrive nel capitolo 10 del Vangelo appena ascoltato in Cattedrale, «egli fu uomo di infaticabile cura di tutti coloro che appartenevano alla famiglia umana, alla comunità cristiana e civile. Oltre all’amore per il Crocifisso, da prendere tra le mani, altro suo pilastro fu l’Eucaristia, sorgente inesauribile di comunione fraterna. Eucaristia, cura appassionata del gregge, educazione, preghiera, ascesi: ecco i principali lineamenti di san Carlo con cui intendiamo immedesimarci». 
Alla fine, il ringraziamento è per i tanti sacerdoti concelebranti, per l’intero Capitolo metropolitano, per i gli oltre 10 Vescovi presenti, per il Seminario, con i Superiori e gli alunni, per le Confraternite – notissima la cura che ne ebbe il Borromeo fondandone anche alcune – per i rappresentanti delle famiglie religiose; soprattutto, per i sacerdoti della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia guidati dal vescovo Siluan (con cui, poco prima della Celebrazione, il Cardinale si era incontrato) e con le Comunità di Carenno e Lorentino, in Diocesi di Bergamo, che conservano il Rito ambrosiano.