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Milano

Scola: «Corpus Domini,
lezione e scuola di amore vero»

Migliaia di persone hanno partecipato alla celebrazione diocesana presieduta dall’Arcivescovo, con la solenne processione eucaristica conclusa in Duomo. Il Cardinale: «Abbiamo avuto il dono e la gioia di realizzare il simbolo del pellegrinaggio della nostra vita»

di Annamaria BRACCINI

4 Giugno 2015

Il grande dono dell’Eucaristia che è la risposta alla fame di dignità e amore che ciascuno ha nel cuore. Fame di amicizia civica, di comunione nella nostra Chiesa, fame di ritrovare il vero volto di ciascuno di noi. È la Solennità del Corpus Domini e, con queste parole, il cardinale Scola definisce il senso pieno della celebrazione e della processione eucaristica in cui, seguito da migliaia di persone, porta tra le mani il Corpo del Signore.

Al passaggio le vie del centro si fermano, la gente esce dai tanti locali aperti, qualcuno guarda con curiosità, molti si inginocchiano. Il cammino percorre un itinerario tradizionale e storico delle grandi processioni della Chiesa di Milano: dopo la Messa nel Santuario mariano di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso – gremita fino al sagrato e a corso Italia – si arriva in Duomo, accompagnati dai canti, dalla Parola di Dio, dalle tre Letture magisteriali (due tratte dal volume dell’Arcivescovo Cosa nutre la vita? e una da un recente Angelus del Papa). Tutto per dire, col titolo di quest’anno – “Non di solo pane”, in evidente riferimento a Expo -, il tema dell’Eucaristia, declinato in tre tappe: “Un pane che rende presente Dio”, “Un cibo da condividere”, “Un cibo che educa”. Non a caso, l’icona artistica scelta per il Rito, l’Ultima cena del Tintoretto, è l’immagine della tela esposta nel Padiglione della Santa Sede.

A pregare col Santissimo sorretto dal Cardinale, nel prezioso ostensorio ambrosiano, ci sono i Vescovi ausiliari, il Capitolo metropolitano, gli Ordini cavallereschi, le Confraternite, centinaia di sacerdoti, i seminaristi, i rappresentanti delle massime autorità civili locali con i Gonfaloni e gli aderenti ad associazioni, movimenti, articolazioni ecclesiali. Non mancano le Cappellanie e le Comunità straniere – specificamente inviate e che animano con canti in diverse lingue la liturgia –, il mondo del volontariato e delle università. Un intero popolo, di ogni età e condizione, che disegna la Milano di domani, entra così in Duomo, sotto il bel cielo della sera che scende, e ascolta in silenzio la riflessione dell’Arcivescovo su quel Pane che «nutre per sempre».

«Ciò che è impensabile accade, Dio che è Dio, l’Altro differente da noi, diventa il Dio con noi. Nel ventre di una ragazza, segnato, fin dalla primissima infanzia, dalla sua natura divina, sprofondato nel silenzio degli affetti e del lavoro quotidiano, e poi, dentro la sua missione, così scandalizzante se non per gli umili e gli ultimi, così fuori dalla portata dell’umana intelligenza, sempre un po’ presuntuosa, Lui incomincia a donarsi ascoltando il bisogno di tutti – sottolinea subito Scola -. Rispondendo a questo bisogno e dilatando la fame che ha tante caratteristiche, che è fame di pane come ci ricordano anche gli avvenimenti contemporanei di questa nostra Milano, ma è fame soprattutto di dignità, di amore gratuito e per sempre che ci educa ad amare a nostra volta così, che è fame di amicizia civica, di comunione nella nostra Chiesa, fame del volto vero di ciascuno di noi, Dio si inabissa nella umana natura e accetta di lasciarsi trattare da peccato in nostro favore». Quel Signore che inchioda sul legno della Croce, tutta la nostra storia «di gioie e dolori, di limiti e di possibilità, di bene e di male, fino a fare l’esperienza dell’abbandono del Padre», è Colui che abbiamo celebrato, «sorprendentemente bene accolti da milanesi e visitatori», nota l’Arcivescovo, forse anche lui un poco stupito dalla notevolissima partecipazione alla processione e al rispetto con cui è stata accompagnata per l’intero percorso.

Il pensiero è alla Cena ultima di Gesù, «che anticipa il sacrificio e genera nuovo convito. È il genio del cristianesimo, perché senza quel gesto di spezzare il pane, non solo i suoi sarebbero stati terrorizzati, ma gli eventi che hanno cambiato e stanno cambiando al di là di ogni apparenza la storia, non sarebbero potuti continuare. Quell’anticipo della sua morte, delle sue apparizioni, della sua ascesa al cielo, perché i suoi discepoli non si perdessero di fronte ad avvenimenti così straordinari, diventa il grande dono offerto a noi da più di duemila anni».

Dono anticipato per i discepoli e posticipato per noi oggi – suggerisce il Cardinale – che invita a guardare all’Eucaristia e ad approfondire il senso dell’intera Celebrazione del Corpus Domini: «Per questo l’abbiamo portata per le vie della nostra città. Potevamo mancare di offrire a tutti i fratelli e sorelle di questa società plurale una proposta carica di salvezza è perciò di felicità? Che cristiani saremmo se non avessimo almeno il coraggio di questa testimonianza, in un tempo in cui tanti fratelli donano con fede incrollabile la vita?».

Chiaro il monito che ne deriva: «L’Eucaristia è il senso pieno della vita, è Gesù con noi, nostro contemporaneo, Gesù sopra di noi in questo momento, Dio corporalmente accessibile, di fronte al quale possiamo solo prostraci adoranti. Ecco perché l’Eucaristia è importante ogni giorno per la vita ed è il collante della storia. Che vuoi fare della tua vita? Vuoi trattenerla? Vogliamo vivere nella sua scia? Vogliamo darla questa vita? È facile dire queste parole, nell’esperienza che facciamo quotidianamente volendo tenere stretta la vita a tutti i costi, anche quando i nostri modi calpestano l’altro e la sua dignità. In un’esperienza di amore possessivo, di lavoro puramente emulativo, di riposo puramente dissipativo, la teniamo a denti stretti, con le unghie, perché il terrore della morte è ancora più forte del Volto che pure cerchiamo». Da qui il richiamo alla condivisione da offrire «al Crocifisso innocente perché, in questa processione, abbiamo avuto il dono e la gioia di realizzare il simbolo del pellegrinaggio della nostra vita».

La consegna ultima – prima della Professione di fede corale e della solenne benedizione eucaristica – è, allora, a tornare a casa «con l’intima letizia della relazione con Gesù, sprofondando in Lui, con l’aiuto della Vergine, la nostra domanda di salvezza, come figli in Cristo di un Padre che ci aspetta, nella casa della Trinità, per il compimento definitivo della nostra vita. Stare davanti a Gesù sacramentato sia espressione massima di solidarietà e questa serata sia una lezione, una scuola di amore vero che converta i nostri cuori duri, le resistenze, la passività e il nostro peccato più grave, la dimenticanza di Dio nella nostra giornata».