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Seconda d'Avvento

Scola: «Figli del Regno e, per questo,
chiamati alla conversione e al cambiamento»

Il Cardinale in Duomo, presiedendo la Celebrazione eucaristica della II Domenica dell’Avvento ambrosiano, prosegue nel percorso di predicazione proposto a tutti con il titolo complessivo “Non temere, io sono con te”

di Annamaria BRACCINI

20 Novembre 2016

È la necessità, avvertita con più o meno consapevolezza, di un cambiamento che porta al compimento pieno del proprio io, a intrecciare, come un filo rosso, la riflessione del cardinale Scola nella II Domenica dell’Avvento ambrosiano. 
«Tutti, più o meno esplicitamente, avvertiamo di questi tempi un “disagio di civiltà” e sentiamo il bisogno di novità. La venuta del Messia rende questo desiderio di rinnovamento, magari nascosto sotto le ceneri, un’esperienza possibile, reale e comune», dice, infatti, l’Arcivescovo, aprendo l’omelia della Celebrazione eucaristica che presiede in Duomo e che, per l’occasione, è animata dai fedeli della Zona Pastorale II-Varese – guidati dal loro Vicario, monsignor Agnesi –, dagli appartenenti alla Legio Mariae, al Rinnovamento nello Spirito, alla Comunità di Sant’Egidio e a Rinascita cristiana. 
A tutti si rivolge direttamente il Cardinale in riferimento alla Parola di Dio appena proclamata nella Liturgia: «L’offerta di salvezza, rivolta ad ogni uomo, lega i tre brani di questa II Domenica che ci definisce Figli del Regno. Un regno dell’amore guadagnato da Cristo attraverso il dono totale di sé sulla Croce. Questa decisione di bene da parte di Dio per l’uomo, di ogni tempo e spazio, è già evidente nella Lettura del profeta Baruc e, a sua volta, Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti, annuncia il definitivo ingresso di questa salvezza concretissima nella storia», dicendo “Viene colui che è più forte di me. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Battesimo radicale che nessuno può toglierci o togliersi. In questo momento il nostro affetto va ai moltissimi battezzati che hanno perso la strada di casa», scandisce Scola. È, poi, san Paolo, nella Lettera ai Romani, affermando che la salvezza portata da Gesù è per tutti, a definire il fattore unificante della Liturgia della Parola.
Ma come possiamo cambiare, si chiede il Cardinale. «I rapporti costitutivi, come quelli uomo-donna o genitori-figli, documentano un dato prezioso: l’io cambia grazie all’esperienza di un amore ricevuto ed accolto, molto più che per un programma che si è imposto. La conversione cristiana è determinata dal rapporto con Dio, vivo presente, e non tanto dalla nostra immagine di perfezione o dalle nostre capacità. In tale rapporto – questo è chiaro proprio oggi a conclusione del Giubileo della Misericordia –  si incontrano, da una parte, il dono gratuito e sovrabbondante della salvezza che apre alla prospettiva del cambiamento e, dall’altra, tutto il bisogno di convertirci riconoscendo il nostro peccato. Possiamo ottenere il perdono mediante il quale la nostra libertà si avvicina a Gesù e si interroga circa l’agire: così, Dio ci restituisce la nostra personalità più piena, il nostro volto originario, molto al di là di quanto possiamo pensare e meritare».
Un “volto pieno” di uomini e donne che, anche nel terzo millennio, non possono non tenere conto delle indicazioni morali offerte dal Battista nel brano del Vangelo di Luca 3. «Indicazioni che si riassumono nella libertà e giustizia che hanno come presupposto la misericordia». Triade che suscita la fraternità tra gli uomini, suggerisce l’Arcivescovo. 
«Se viviamo con un minimo di consapevolezza possiamo comunicare in tutti gli ambienti dell’umana esistenza, l’esperienza bella del compimento. Ricordiamoci che ognuno di noi, di fatto, comunica ciò che è e offre ciò che ha e solo ciò che vive. Tutto il resto è finzione e si rivela, presto o tardi, come ambiguità». 
Chiara, allora, la consegna: se si comprende e si vive tutto questo «si desterà anche nei nostri fratelli uomini il desiderio di quel rinnovamento che è particolarmente urgente per superare questo disagio di civiltà nel cambiamento di epoca che stiamo vivendo. Occorre  passare da una società di estranei a una società di figli: si amplierà così quella filìa che è amicizia civica. La commovente mobilitazione davanti alla tragedia dei terremoti a cui stiamo assistendo in tutto il Paese ne è impressionante segno». 
E quale tempo migliore, allora, per giocarsi fino in fondo con la conversione del cuore? «L’Avvento è quindi un tempo di conversione e lo è perché l’attesa del Signore che viene – anzi che sta venendo proprio ora e forse nel modo più inimmaginabile – mette in moto le energie profonde del nostro desiderio di amarci come fratelli perché siamo figli di un padre buono. Il dono della visita del Papa il prossimo 25 marzo è, già fin d’ora, un invito pressante a percorrere questa strada insieme a tutte le donne e gli uomini nel cui cuore abita un desiderio di cambiamento e di bene ». 
Richiami ribaditi dal Cardinale anche alla fine della Celebrazione: «Rinnovo a tutti la tensione a mantenere l’abbraccio della Trinità che giunge a noi attraverso il Crocifisso. Sarà buona cosa se. in questo tempo. riusciamo a prendere parte a una S. Messa anche in giorno feriale. Facciamoci soprattutto portatori di speranza verso chi è nel bisogno e anche presso coloro che vorrebbero nel loro cuore rincontrare Gesù e che, magari, aspettano solo un nostro cenno».   

Fare buoni frutti degni di conversione

Quello riprodotto qui sopra è uno dei capolavori più noti, e forse più belli, del Rinascimento italiano. È un’opera di Piero della Francesca, realizzata probabilmente attorno al 1450 come scomparto centrale di un polittico commissionato dall’abbazia camaldolese di Sansepolcro, città natale del pittore. Pressoché “dimenticata”, la tavola venne acquistata da un mercante inglese a metà dell’Ottocento, così che oggi è uno dei tesori della National Gallery di Londra. Raffigura il battesimo di Gesù, un episodio, cioè, non citato nel brano evangelico di questa domenica, ma che Luca racconterà da lì a poco, nello stesso capitolo. Piero, tuttavia, sembra fare qui una citazione letterale di alcuni versetti proclamati proprio in questa liturgia domenicale. Dietro la figura di Cristo battezzato da Giovanni, soprattutto all’altezza delle ginocchia del Messia si possono notare infatti delle troncate alla base. Il particolare è apparentemente insolito, strano persino, ma in realtà è l’illustrazione fedele delle dure parole pronunciate dal Battista: «Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà frutto viene tagliato e gettato nel fuoco». L’immagine, già di per sé potente ed evocativa, è ancora più rafforzata per contrasto dall’albero svettante e rigoglioso che Piero della Francesca colloca in primo piano sulla scena, in posizione parallela a Gesù e accanto ai tre angeli, dall’evidente simbologia trinitaria. Così come un altro albero dai rami frondosi si erge proprio “sopra” l’uomo, sulla destra, che si sta spogliando per ricevere anch’egli il battesimo. Figura di quell’«uomo nuovo» che già si dispone, come ammonisce il Precursore, a fare «frutti degni della conversione».
Luca Frigerio