Sirio 26-29 marzo 2024
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Baggio

Scola: «Il peccato è un’offesa a Dio
e una ferita alla Chiesa»

Una catechesi del Cardinale sulla Riconciliazione ha concluso il ciclo di conferenze dedicate dalla parrocchia di Sant’Anselmo a “Delitto e castigo?”. Ai molti presenti, giunti anche da altre realtà del Decanato, l’Arcivescovo ha indicato la necessità di coltivare un atteggiamento di confessione

di Annamaria BRACCINI

6 Giugno 2016

«La visita in via Quarti mi ha particolarmente colpito e mi è rimasto il desiderio di rivedervi per il modo di accoglienza che ho potuto apprezzare. Sono qui anche come segno di gratitudine per ciò che fate, per come radicate la presenza del Signore in un contesto come quello del vostro quartiere. Sono poi molto contento di poter parlare della Riconciliazione in un orizzonte articolato, inserendo, in tale intreccio, una catechesi sulla questione e situando questo Sacramento nel contesto che stiamo vivendo, con il grande problema della contemporaneità, il nesso che si è perduto tra fede e vita».

Sono diverse le ragioni, come spiega lui stesso, che portano il cardinale Scola a ritornare nel Decanato di Baggio, in cui era già stato circa due anni fa (entrando appunto tra le case popolari di via Quarti in un momento di grande tensione per gli sgomberi) e solo il mese scorso per guidare la recita del Rosario. Questa volta l’Arcivescovo è nella parrocchia di Sant’Anselmo, dove conclude il ciclo di 9 conferenze dedicate a “Delitto e castigo?”, promosso per riflettere, nell’anno della Misericordia, sul nesso tra colpa, peccato, riconciliazione e conversione. Il parroco don Giuseppe Nichetti – presente anche il Decano, don Paolo Citran – dice: «Leggiamo la sua presenza come un grande gesto di affetto e di cura per il nostro cammino», aprendo quello che definisce, con San Francesco di Sales, un «trattenimento spirituale», iniziato dal tema dei Novissimi e che termina con la riflessione del Cardinale, «Dio, la coscienza e il sacramento della Penitenza».

«Sacramento certamente, oggi, tra i più sottoposti alla non comprensione, anche da parte di noi cristiani, che lo consideriamo spesso in modo infantile, accostandovi, comunque, troppo poco», scandisce subito Scola. E così già dal titolo del primo paragrafo – «Peccatori perdonati» – si intuisce l’orizzonte complessivo di riferimento della catechesi che prende avvio dalle recenti parole del Papa: «Ognuno di noi dovrebbe domandarsi: “Sì, quello è un peccatore. E io?”. Tutti siamo peccatori, ma tutti siamo perdonati: tutti abbiamo la possibilità di ricevere questo perdono che è la misericordia di Dio. La potenza d’amore del Crocifisso non conosce ostacoli e non si esaurisce mai».

Dunque, per comprendere la Riconciliazione, occorre partire non dal peccato, ma da Dio: infatti, «paradossalmente, non è il peccato la strada che ci porta a riconoscere la grandezza della misericordia, ma è la misericordia a renderci consapevoli e addolorati dalla nostra miseria e a permetterci di riconoscerla fino in fondo. Il popolo dei cristiani, cioè, in quanto popolo di peccatori perdonati, spande nel mondo il profumo di una vita riconciliata. È questa costitutiva identità di redenti, di riconciliati, a costituire il contenuto della nostra auto-coscienza: siamo peccatori perdonati, figli di un popolo redento, comunità riconciliata».

Questo, secondo Scola, il «punto capitale» della questione, anche perché «anche noi cristiani, forse, non siamo del tutto consapevoli di cosa significhi il peccato». Un’offesa fatta a Dio e inferta alla Chiesa – il richiamo è a quanto afferma la Costituzione dogmatica conciliare Lumen gentium -, perché in essa siamo membra di un unico corpo, fratelli resi tali per sempre dai Sacramenti dell’Iniziazione cristiana. «Se fossimo più coscienti di questo, la comunione tra noi potrebbe circolare meglio anche nelle nostre Comunità pastorali e parrocchie: pensiamo a chi dà la vita per la fede, a chi deve lasciare tutto in una notte, come i 125 mila ammassati nei containers del campo profughi che ho visto a Erbil nel Kurdistan iracheno», ricorda l’Arcivescovo. 

«Il peccato non si riduce mai a una questione tra l’individuo e Dio: esso comporta una ferita reale inferta al popolo cristiano, un non permettere alla Chiesa di fiorire secondo tutta la sua pienezza di verità e di grazia. Riconciliazione con Dio e riconciliazione con la comunità cristiana sono dunque inseparabili». Difatti, il Sacramento della Riconciliazione non si esaurisce nella confessione, ma trova la sua profonda identità in una serie di passi, non solo “premesse”, ma gesti che concorrono veramente all’evento del perdono. Passi di contrizione («il dolore per il peccato, perché comprendo che mi rifiuto all’amore per cui Cristo ha dato la sua vita»), di confessione («mostrarsi per quello che si è, potendo sperimentare un’esperienza di salvezza, di conversione, di liberazione che produca pace, attraverso un domanda di verità a cui l’uomo costantemente anela, ma che chiede l’iniziativa di amore di un altro, con la A maiuscola») e di penitenza.

Insomma, un cammino riassunto in quello che Adrienne von Speyr ha chiamato «atteggiamento di confessione», «che manca molto nella nostra esperienza cristiana e che dovrebbe, invece, caratterizzare la vita cristiana in tutte le sue manifestazioni, perché la riconciliazione è sempre un incontro tra la libertà ferita dell’uomo e la libertà redentrice di Cristo, tra l’iniziativa di Dio e la coscienza, che è il sacrario ultimo della nostra libertà». «Il male compiuto chiede di essere riparato: il peccato ferisce chi lo fa e incrina i rapporti con gli altri, con la comunità e con Dio. In questo modo comincia a farsi strada in noi quell’atteggiamento permanente di confessione che, sostenuto da un autentico dolore, ci conduce fino alla confessione dei nostri peccati e all’abbraccio della Chiesa, attraverso l’assoluzione del sacerdote. La penitenza e le opere di penitenza ci ridonano slancio, tanto che, invecchiando, il peccato si fa sempre più noioso e non ha la forza di diventare un’alternativa alla vita bella della Chiesa».

È per questo che «celebrare il Sacramento del perdono si offre a noi come un cammino privilegiato di conoscenza di Dio e di noi stessi», conclude il Cardinale, a cui poi vengono poste alcune domande. Ciò che emerge dal dialogo è ancora l’idea fondante di un atteggiamento di confessione. «Fare un’assemblea ecclesiale vuole dire essere convocati in senso dinamico e bisogna allora prendere coscienza di chi ci convoca, che è Cristo. Ciò porta un ascolto più costruttivo e di fecondazione reciproca. Nel cambiamento di epoca attuale, l’uomo è posto di fronte a un’alternativa, o è un “io-in-relazione”, di cui è espressione quintessenziale è la comunione ecclesiale, o sarà solo l’esperimento di se stesso. Anche se non è semplice, abbiamo assolutamente bisogno di tale atteggiamento di confessione: spesso, invece di aprirci, siamo dei gruppettari».

Infine, un pensiero anche per la dolorosa vicenda del sacerdote accusato di abusi accaduta a Muggiano di Baggio: «Dobbiamo avere questo atteggiamento di perdono che non vuol dire passare sopra o semplificare i problemi. Dobbiamo pregare e sostenerci anche nei momenti più difficili. Lasciamo che le cose facciano il loro corso, rispettando la giustizia, e partiamo sempre dalla frase: “Quello è un peccatore e io?”».

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