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Riflessione

Scola: «Il Signore venuto per noi
ci obbliga a giocarci in prima persona»

Il cardinale Scola ha presieduto la Celebrazione eucaristica nella quarta domenica dell’Avvento ambrosiano. In un Duomo gremito di fedeli, l’Arcivescovo ha delineato la centralità della venuta di Cristo nella storia e la necessità, per i credenti, di comunicarla

di Annamaria BRACCINI

7 Dicembre 2014

L’entrata di Gesù a Gerusalemme che il Rito ambrosiano, sulla scorta degli antichi Padri della Chiesa, significativamente pone, quale pagina evangelica, nella quarta domenica di Avvento e che segna quasi la profezia della venuta definitiva di Gesù nella storia. Il tempo di attesa per la venuta del Figlio di Dio nella storia «non si può separare – sottolinea, infatti, l’Arcivescovo – dal Suo avvento finale nella gloria». Evento che domanda a ciascuno di noi e a tutto il popolo cristiano di accogliere – come evidenzia il titolo di questa quarta Domenica – l’ingresso del Signore nella nostra vita personale e comunitaria».

Parte da qui la riflessione con cui il cardinale Scola prosegue, addentrandosi nelle settimane che ci sperano dal Natale, la predicazione proposta a tutta la Diocesi. Migliaia i fedeli che si danno appuntamento in Cattedrale, prima per le belle musiche dell’elevazione musicale, ma soprattutto per la Celebrazione alla quale sono stati invitati, questa settimana, gli aderenti dell’ “Opus Dei” e le Cellule di Evangelizzazione parrocchiale, concelebrano, tra gli altri, don Matteo Fabbri, vicario della Prelatura per l’Italia e monsignor Pigi Perini, fondatore delle “Cellule”. A loro si aggiungono anche parrocchie e comunità, come quelle di Arcisate e di Brenno.

Gesù entra a Gerusalemme su un puledro, racconta l’evangelista Marco, indicando la diversità di una signoria, la sua, del tutto particolare e che non asseconda la logica del mondo: la forza di un Messia l’innocente per eccellenza che viene nella Città santa per morire inchiodato sul palo ignominioso della croce con «la consapevolezza sovrana di quello che accadrà».

Nasce, allora, quella che Scola definisce «una conseguenza decisiva». «Se Colui che viene è il Signore della famiglia umana e della storia, ognuno di noi è chiamato a situarsi rispetto a Lui, a prendere posizione».

Come scriveva Søren Kierkegaard, se Dio si fa uomo e viene, “tu devi”: «devi posizionarti di fronte a questo avvenimento unico e irripetibile come la storia mostra ormai da millenni», scandisce l’Arcivescovo.

Di fronte al Dio che sorprende, al Signore che ci offre per sempre una misura dell’amore che è, secondo le parole di Agostino, “amare senza misura”, a Colui che è “un giudice sollecito del diritto e pronto alla giustizia” «la nostra epoca è piena di queste due categorie, ma si può raggiungere il diritto e la giustizia senza accogliere il figlio di Dio?», si chiede il Cardinale occorre rispondere con la testimonianza. Quella dell’amore che riceviamo «sovrabbondante nell’Eucaristia e che non possiamo, per quanto ne siamo capaci, non restituire», amore che «se non si apre, chiudendosi su di sé, fosse anche nella coppia, non è amore».

È questo il cuore della morale che Gesù propone, dove tutte le virtù sono al servizio di una tale risposta di amore. “Predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori. Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti”, per usare le parole di papa Francesco in Evangelii Gaudium, che l’Arcivescovo cita come via maestra. «Continuiamo il nostro cammino verso il santo Natale imitando la disponibilità dei nostri bambini più piccoli che non si scandalizzano di cadere, ma sono sempre pronti a lasciarsi rialzare e a riprendere il tentativo di imparare a camminare. I gesti concreti di condivisione che stiamo richiamando siano la trama per vivere questo tempo come crescita e maturazione».

Su un puledro
viene Gesù,
il Signore della pace

«Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra», si legge nel Vangelo odierno di Marco. E fu Gesù stesso a chiedere ai discepoli di andare a prendere quella cavalcatura, quando furono vicini a Gerusalemme. Un puledro, cioè un asinello, come si deve intendere in questo contesto, e come efficacemente ci mostra Antoon van Dyck nel suo dipinto, con il Cristo che con i piedi quasi sfiora il terreno... Immagine di immediata umiltà, fino alla tenerezza. Eppure richiamo anche alla gloriosa tradizione dei principi d’Israele, che scelsero proprio l’asino come nobile destriero. Così che l’ingresso a Gerusalemme di Gesù a dorso di questo animale appare veramente come il manifestarsi delle profezie messianiche. «Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina», aveva infatti annunciato Zaccaria. E ora già viene il Messia, tra gli osanna della folla, le fronde e i mantelli distesi sulla strada, come fedelmente illustra il pittore fiammingo. Gesù che è il «Signore» (ed è la prima volta, in Marco, che egli stesso si definisce così). Ma il Signore che porta la pace, perché spezzerà «l’arco di guerra», facendo «sparire i carri da Èfraim e i cavalli da Gerusalemme».
Luca Frigerio

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