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Milano

Scola: «L’amore di Dio ha sconfitto per sempre la morte»

Il cardinale Scola, in serata, ha presieduto in Duomo l’Eucaristia vespertina per i Defunti.«La speranza cristiana è affidabile e possiamo farvi leva anche di fronte alla ferita della morte», ha detto l’Arcivescovo che, nel pomeriggio, ha celebrato presso il Cimitero Maggiore di Milano

di Annamaria BRACCINI

2 Novembre 2016

“Io so che il mio Redentore è vivo e i miei occhi lo vedranno”. 
Le parole di Giobbe, che «sentiamo risuonare in noi, facendo oggi memoria di tutti i nostri fratelli e sorelle», come dice il cardinale Scola, presiedendo un Duomo la Celebrazione vespertina del 2 novembre, sono la sintesi della speranza che ha guidato migliaia di donne e uomini, in queste ore,  sulle vie dei Cimiteri e della visita ai Defunti. 
«Ognuno di noi, come Giobbe, che lo affermi esplicitamente o lo neghi – riflette, infatti, l’Arcivescovo – desidera incontrare faccia a faccia il suo Salvatore, per abitare nella Sua casa. Tutti aneliamo a vedere il volto di Dio, anche se spesso può non chiamarsi esplicitamente Dio, ma Lui  risponde sempre a tale desiderio». 
Per questo, la speranza cristiana è affidabile e possiamo farvi leva anche di fronte alla ferita dei nostri cari passati all’altra riva o guardando alla prospettiva del nostro morire, perché, come dice Paolo, “Risorgeranno i morti in Cristo”. Tale è la realtà del paradiso a cui siamo destinati “perché saremo con Lui per sempre”. Un “aldilà”, questo, che inizia però fin da qui, nel grande anticipo dell’Eucaristia», sottolinea Scola. Non a caso, l’evangelista Giovanni, parlando della vita eterna, usa il tempo presente, come i fedeli hanno appena ascoltato tra le navate della Cattedrale. «Questo deve sostenere il cammino terreno e deve ogni volta convertirlo, dando una svolta al nostro stile di vita a imitazione di Gesù, della Vergine e dei Santi; penso soprattutto ai nostri ambrosiani», osserva il Cardinale. 
Ma dove fondare la fede nella Risurrezione, la possibilità di rivedere i nostri cari? «Nell’esperienza di amore che è più forte del male, in quell’amore di Dio che rende possibile anche perdonarci tra noi con una comunione concreta e che ci consente una stima a priori, nel “per sempre” della vocazione donataci sia nella Chiesa che, con le debite distinzioni, nella vita civile. E, infine, nell’esperienza misteriosa, ma reale, della compagnia di coloro che ci hanno preceduto all’altra riva. È la comunione dei Santi, con cui colloquiare, non certo con forme astruse, ma nella profondità della preghiera». 
Da qui l’auspicio: «Facciano nostra, in questo Vespero, la bella affermazione del beato Paolo VI, che sentendo vicina la morte, scrisse: “Prego il Signore che mi faccia grazia di fare di questa mia morte un dono di amore alla Chiesa”.  La morte, infatti in Cristo, è l’ultimo definitivo e compiuto atto di amore che possiamo fare a tutti nell’atteggiamento dell’abbandono al Padre che ci attende». 

 

Scola al Maggiore: «Non assuefarsi alle ingiustizie,
ma costruire società giuste»

Un luogo in cui fare esperienza del nostro essere infinitamente piccoli, ma anche luogo del presente e del futuro, come dice il cappellano del Cimitero maggiore fra’ Nunzio Conti. Sotto un cielo grigio, è il grigio dei monumenti e della grande architettura di Musocco ad accogliere il cardinale Scola che, nel giorno dei Defunti, presiede la celebrazione loro dedicata davanti a tanta gente.

«I nostri trapassati ci hanno convocato in questo luogo di pietà per la memoria che abbiamo, memoria sempre venata di nostalgia, perché non possiamo più vederli “faccia a faccia” – dice subito l’Arcivescovo, che richiama il senso della parola «speranza», più volte ricorsa nella Liturgia della Parola -. Per poter avere fiducia in questa speranza dobbiamo credere in profondità in ciò che ci hanno appena detto San Paolo e Gesù nel Vangelo. L’Apostolo ci ha messo di fronte al dono totale di Sé che il Signore compie per noi e che implica la risurrezione del nostro corpo nella sua completa verità e fisionomia. Esso, infatti, sarà trasformato in profondità, non più sottoposto alle leggi dello spazio e del tempo che implicano il finire». Un corpo, insomma, capace di farci vivere nella nostra interezza, in relazione permanente con il Signore Gesù, con tutti i nostri cari, «che ci hanno preceduto all’altra riva, e con ogni uomo e donna».

Il cuore della nostra fede

«Questo è il significato della grande esperienza della Misericordia. La nostra speranza è affidabile perché il dono del “per sempre” non è qualcosa che dipende da noi, deboli, peccatori, empi – nota Scola riferendosi ancora a San Paolo -, ma è dono che viene dal Figlio di Dio fatto uomo, amore della Trinità incarnato che ci sorprende in continuazione». Da qui l’insegnamento del Vangelo: «Chiunque vede il Figlio e crede in Lui avrà la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

«Questo è il cuore della fede e il senso della visita che compiamo ai sepolcri. Non è uno sguardo rivolto al passato – anche se la ferita per una perdita non si rimargina mai- ma, anzi, dà frutto, insegnandoci a vivere nella prospettiva della morte».

Un morire che «ci apre, così, attraverso la fede, all’abbraccio della Trinità, alla sua casa piena di porte aperte, dove, se non ci rifiutiamo del tutto, siamo destinati ad andare. Questa è una verità che l’uomo tende a dimenticare perché, al di là delle belle scoperte di oggi, la paura della morte incombe sempre. Invece, è un modo con cui Dio ci ridimensiona nell’autismo disperato in cui l’uomo cosiddetto postmoderno rischia di vivere».

Il senso della giornata

Il richiamo è all’oggi: «In questo modo, tragedie immani come le guerre in atto in Siria e in altre parti del mondo, la situazione di tanti cristiani e uomini che vogliono la giustizia e che la pagano con la loro vita, vengono lasciate alla “periferia”. Vediamo tutto, sappiamo tutto, ma lentamente ci abituiamo anche alle peggiori nefandezze».

Chiaro l’appello a comprendere allora «il senso di questa giornata. Sii un uomo che spera di una speranza affidabile, perché poggiata su un fatto storico reale, la passione, la morte e la Risurrezione di Gesù, che ti vuole bene e non vuole lasciar perdere nulla di te. Questa coscienza di cosa sia la fede, del senso della vita, della direzione del nostro cammino, rende la Chiesa viva e, con le debite distinzioni, ha anche un peso importantissimo per l’edificazione di una società giusta».

Siamo in un mondo in cui diverse visioni nella società plurale si incontrano e si scontrano. Bisogna lavorare per un’amicizia civica che cresca sempre di più, suggerisce l’Arcivescovo: «Per questo sono certamente necessarie buone leggi che, tuttavia, da sole, senza un poco di amore gratuito, di amicizia, di misericordia, di carità, troppo spesso restano lettera morta o vengono tradite dalla nostra fragilità. Preghiamo i nostri morti perché ci aiutino a essere cristiani autentici e costruttori di vera civiltà». 

Alla fine della celebrazione, il Cardinale si reca a pregare sulla tomba di monsignor Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, ucciso a Iskenderun nel 2010.