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Milano

Scola: «Sull’esempio di Ambrogio,
vivere la giustizia nella società»

Il cardinale Scola ha presieduto il Pontificale nella solennità della Festa liturgica del santo patrono Ambrogio. Nella basilica omonima, gremita di moltissimi fedeli, l’Arcivescovo ha richiamato la necessità di una nuova amicizia civica

di Annamaria BRACCINI

7 Dicembre 2014

Alacri e forti, camminare sulla via della salvezza riportando al centro della nostra vita Cristo, troppo spesso oggi dimenticato anche dai battezzati.

E questo l’auspicio del cardinale Scola che risuona tra le navate della basilica di Sant’Ambrogio, come sempre gremita per il Pontificale nella festa liturgica del Patrono da lui presieduto e concelebrato dall’abate, monsignor De Scalzi, dai Vescovi ausiliari, Mascheroni, Martinelli e Tremolada e da molti sacerdoti dei Capitoli santambrosiano e della Cattedrale, presenti anche i seminaristi del biennio teologico.

Un speranza, quella dell’Arcivescovo – che, per l’occasione, siede sulla marmorea, millenaria “Cattedra di Ambrogio” al centro del Coro ligneo dell’Abside – che diviene, nelle sue parole, un invito all’intera cittadinanza per ritrovare il senso di un nuovo umanesimo, nel riconoscimento di quella giustizia che è base di ogni autentica amicizia civica.

«La bellezza e la profondità di questa azione eucaristica, che è capace di generare in noi pace e letizia, vale in modo particolare per oggi, nel giorno in cui facciamo memoria del grande pastore Ambrogio venerando il suo corpo e inserendo la nostra storia nella grande storia della Chiesa ambrosiana, con i suoi Santi e tutti i santi dal volto anonimo che, dai padri dei nostri padri, ci hanno condotto per mano fin qui»,osserva, in apertura della sua omelia, l’Arcivescovo che, in un tale contesto, indica la necessità di accogliere la vita come una vocazione come avvenne per Ambrogio e, prima, per San Paolo del quale si legge, significativamente nella liturgia dedicata al Patrono, la lettera agli Efesini. «La vocazione è la strada della riuscita della vita, la strada della pace. Il nostro grande Pastore e padre amoroso spese tutte le sue energie per la Chiesa a lui affidata», spiega il Cardinale, richiamando la vicenda umana di Ambrogio, che fu governatore e altro funzionario politico dell’Impero, prima di essere acclamato Vescovo dalla popolazione: «Attraverso il compito ecclesiale egli si spese per tutti i milanesi ponendo al centro del suo insegnamento dottrinale e pastorale Cristo e la Chiesa» e così dobbiamo fare noi ora «andando incontro all’umano in ogni ambiente», aggiunge.

Un’incidenza sociale ed ecclesiale indiscussa, quella di Ambrogio, proprio perché basata sull’esercizio della giustizia, che, nel Terzo Millennio come nel Primo, «significa vivere con verità le relazioni costitutive di ogni uomo, con Dio, con il prossimo e con se stesso», suggerisce Scola. Giustizia che, in questa ottica, «è fattore di amicizia civica e di vita buona», avendo “di mira il bene comune e considerando proprio guadagno il bene altrui”, per usare un’espressione dello stesso Santo.

In termini montiniani, insomma, avere “il pensiero di Cristo”: «ciò che noi cristiani di oggi abbiamo tante volte smarrito, in maniera anche comprensibile, ma non giustificabile, credendoci capaci di sostituirci al Signore, unica via verità e vita».

«Da qui la particolare sensibilità sociale del Patrono che ha così profondamente segnato l’identità del cattolicesimo delle nostre terre», come aveva compreso il beato Montini, che, nell’omelia per 7 dicembre 1957, definì sant’Ambrogio “uomo di tutti, uomo del suo popolo, che tanto seppe plasmarsi sul gregge da diventarne lui l’espressione più piena e più nobile, e da imprimere i segni che vorremmo rimanessero perenni e inconfondibili dell’umanità cristiana”.

Il pensiero va quel “nuovo umanesimo” che è al cuore del Discorso alla Città, pronunciato nei Primi vespri del Patrono dall’Arcivescovo che, infatti, ancora scandisce in conclusione: «Rimettere al centro l’uomo, di questo Milano ha bisogno. Di un nuovo umanesimo non frutto di elaborazioni teoriche, ma dell’impegno quotidiano, coraggioso e costruttivo di tutti i cittadini, i corpi intermedi, le Istituzioni. La nostra città chiede di essere amata in tutti i suoi abitanti, a partire da chi più è nel bisogno».

Una “passione” civile e cristiana, dunque, da costruire attraverso gesti concreti di condivisione, appunto “camminando àlacri e forti”, con due delle tipiche virtù dell’umanesimo cristiano delle nostre terre.

Poi, al termine dell’Eucaristia, come tradizione, la preghiera a Sant’Ambrogio e le intercessioni recitate dall’Arcivescovo, dai Concelebranti e dai seminaristi, nella Cripta, di fronte alle reliquie del Santo e dei martiri Gervaso e Protaso.