Sirio 26-29 marzo 2024
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Duomo

Senza paura verso la Pasqua:
il Crocefisso ha già vinto

Nella prima Via Crucis quaresimale la meditazione dell’Arcivescovo sulle prime tre Stazioni: l’amore di Cristo che si sacrifica sulla croce «fa fiorire dalla sofferenza che portiamo nel cuore un albero rigoglioso»

di Annamaria BRACCINI

18 Marzo 2014

Il male che non è l’ultima parola sull’uomo e sulla storia, perché l’ultima è l’amore, come ci dice la Croce di ignominia e di gloria, simbolo dell’Innocente assoluto che vince il peccato dell’uomo. È la prima Via Crucis che il cardinale Scola guida in Duomo per il Cammino catechetico della Quaresima 2014. L’elevazione musicale tutta dedicata a due Fantasie e a tre Corali di Bach, eseguite al grande organo della Cattedrale dal maestro Emanuele Vianelli, prepara i fedeli che affollano il Duomo a questo atteso momento di preghiera, proposto a tutti anche via web, radio, televisione e social network.

“Lo spettacolo della Croce” – come si intitola quest’anno l’intera Catechesi quaresimale, con un’espressione tratta dal Vangelo di Luca – indica con chiarezza «un dramma in svolgimento, uno spettacolo che occorre vedere e rivedere, penetrare e meditare. Un dramma da mettere sotto gli occhi di tutti. Anche ai nostri, questa sera», suggerisce l’Arcivescovo, «perché guardare Cristo è lasciarsi guardare da Lui, è la memoria cristiana, il cui vertice è l’Eucaristia».

In questa prima celebrazione, intitolata “Si è caricato delle nostre sofferenze”, tre le stazioni di cui si fa memoria. Sono presenti i fedeli delle Zone pastorali di Rho (IV) e Melegnano (VI), con i rispettivi Vicari episcopali, Citterio e Carnevali; sorreggono a turno la croce gli appartenenti al Movimento dei Focolari, alle Acli, al Rinnovamento nello Spirito Santo e ad Alleanza Cattolica. I canti meditativi, i brani della Scrittura, le testimonianze di papa Francesco, di santa Teresa di Calcutta, del beato John Henry Newman – letti dagli attori Antonio Zanoletti e Luisa Oneto – rendono più profondo e quasi palpabile il raccoglimento tra le navate: dove, dopo aver portato la croce lui stesso nella terza stazione, il Cardinale propone la sua riflessione «sulla realtà umanamente inaccettabile che un innocente decida di espiare per i peccati che non ha commesso». Eppure, proprio per questo, Gesù «vince definitivamente la morte e il peccato in nostro favore», trasformando il palo della Croce in «strumento di salvezza».

Da qui la necessità di guardare al Signore crocifisso sapendo prendere con coraggio la propria croce «anche quando essa – le parole dell’Arcivescovo, rivolte direttamente a chi ascolta, vibrano di sofferta commozione – rischia di spaccarti in due, di distoglierti te da te stesso, di rendere insignificante l’altro, nel dolore tremendo di una madre che perde il figliolo, nelle tragedie che nascono dall’uomo e che dimentichiamo troppo rapidamente». Eppure, per quanto «parlare di espiazione delle colpe del mondo possa infastidire la nostra sensibilità post-moderna, così narcisa, non possiamo negare la realtà dell’amore oggettivo ed effettivo dell’Innocente per eccellenza»: quella che «fa fiorire dalla sofferenza che portiamo nel cuore, un albero rigoglioso».

Una fioritura richiamata anche dall’opera d’arte posta sull’Altare maggiore per questa prima Via Crucis, Cristo albero della vita tra Mosé e Re David, magnifico manufatto in legno dorato veneziano del XVIII secolo, emblema di un amore da cui nasce la primavera della vita. «È la legge dell’amore di fronte alla quale abbiamo magari timore, sostenuta dalla potenza del Cristo risorto. Ecco perché papa Francesco ci ha ricordato la croce di Cristo con cui Dio risponde al male del mondo», sottolinea Scola

È Lui il «flagellato e piagato» che garantisce la nostra guarigione, anche se questo può non piacere «nella società del virtuale, dell’immagine, dell’apparenza, dove la “carnalità” del divino, di un Dio che si gioca fisicamente nella storia, sorprende e quasi scandalizza lo scetticismo del’uomo postmoderno. Eppure questa carnalità è la cifra distintiva del cristianesimo», osserva ancora.

E tornano allora alla mente quelle parole terribili appena risuonate in Cattedrale attraverso la testimonianza del beato Newman: «Il peso di tutti i peccati del mondo, le speranze fatte inaridire, le occasioni mancate, il giusto sopraffatto, il cancro del rimorso, l’orrore della disperazione… Le scene crudeli e miserabili che sono davanti a lui, sopra di lui e dentro di lui». È di fronte a tutto questo, conclude il Cardinale prima di una preghiera che suggella la sua omelia, che occorre «penitenza in profondità, perché la sua misericordia lo chiede per domarci di più. Continuiamo il nostro cammino di Quaresima senza timore perché il crocifisso ha già vinto».

L’uscita in silenzio dal Duomo, dopo l’invito a contribuire alla Quaresima di fraternità attraverso il sostegno al Fondo Famiglia-Lavoro e ai progetti di mondialità indicati da Caritas Ambrosiana e dall’Ufficio missionario, sono già il segno di un itinerario che porta, nella conversione dei cuori, verso la Pasqua.

Gesù, il frutto dell’albero della vita

«Croce, albero della vita bagnato dal vivo fonte, il cui fiore è aromatico e il frutto desiderato», cantava San Bonaventura da Bagnoregio, frate francescano del XIII secolo. E davvero un albero fiorito e rigoglioso appare la Croce scelta come icona del primo incontro del cammino quaresimale, guidato dall’Arcivescovo in Cattedrale. Dove il frutto è Cristo, primizia del Creato: dall’albero dell’Eden l’uomo aveva colto la sua condanna, dall’albero della Croce il nuovo e ultimo Adamo offre la salvezza all’umanità.
Si tratta di un pregevole manufatto in legno di noce, intagliato, scolpito e dorato, databile al Seicento e opera, probabilmente, di una bottega veneziana, ma giunto nel Duomo di Milano in tempi recenti, cioè negli anni Cinquanta del secolo scorso. Gesù è al centro di questa Croce dai bracci lunghi, smisurati, dove tutto si irradia dal Salvatore, ogni cosa giunge al Redentore: ombelico del mondo, perno fra cielo e terra. In basso, su forti tralci, i testimoni della prima alleanza contemplano l’avverarsi della promessa del Signore: Mosè, a destra, le tavole della Legge in mano, che proclama l’eterno legislatore; e Davide a sinistra, la corona in testa, che riconosce nel Messia l’autentico e unico re dell’universo. Ai piedi del Crocifisso, le braccia allargate nel gesto dell’orante e di chi invoca la grazia divina, è ritratto un Papa, con la tiara deposta per terra, in segno di umiltà. Forse è il committente dell’opera, ma certamente incarna simbolicamente ogni uomo che anela all’ombra ristoratrice dell’albero della vita.
Luca Frigerio

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