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Milano

Sinodo, gli interrogativi dei giovani ambrosiani all’Arcivescovo

Alla vigilia della sua partenza per Roma quale padre sinodale, monsignor Delpini ha incontrato rappresentanti degli oratori, dell'Ac, di Cl e degli Scout, che gli hanno manifestato le loro attese e le loro speranze in vista dell’assise dei Vescovi

di Claudio URBANO

30 Settembre 2018

A pochissimi giorni dall’apertura del Sinodo che lo vedrà tra i vescovi chiamati a Roma da papa Francesco, monsignor Mario Delpini ha voluto un’ultima occasione di incontro, a tu per tu, con alcuni giovani, che insieme alle proprie domande hanno portato idealmente la sensibilità di diverse realtà della Diocesi: oratori, Azione cattolica, Comunione e liberazione, Scout. Un vero e proprio dialogo, coi giovani che hanno approfittato per “entrare” nelle dinamiche sinodali: «Come si è preparato al Sinodo? Ha potuto scoprire più a fondo i diversi mondi giovanili che abitano la città di Milano? ha potuto comprendere quali sono i luoghi in cui la presenza della Chiesa e il messaggio evangelico sono più lontani?», ha chiesto all’Arcivescovo Beatrice, capo scout Agesci, segno di una curiosità e di un’attenzione per il suo compito pastorale, che sicuramente lo accompagneranno nelle prossime giornate di confronto coi vescovi di tutto il mondo.

Dai giovani è emerso poi il forte desiderio di vivere appieno il proprio tempo, scoprendo la propria vocazione grazie a un’intensa vita di fede. «Nella mentalità comune la vita è tutt’altro che una chiamata da parte di un Altro, ma qualcosa che dobbiamo costruire noi. Domina una preoccupazione di sottofondo, assicurarci garanzie per il futuro attraverso l’impegno con il presente, come se l’esito della vita dipendesse da noi – riflette Martina Colli Lanzi, studentessa di Cl alla Bocconi -. Come cambia per me invece, quando mi ricordo che c’è qualcuno che mi dà la vita, di fronte al quale non posso che essere grata. La giornata diventa una possibilità di vedere cosa il Signore mi darà per rendermi felice, per compiermi, scrivendo dritto sulle mie righe storte». Ma – si chiede Martina – come non cadere nel tranello opposto del fatalismo, «di fermarsi e stare a vedere quello che succederà, di non essere impegnati nella vita»?

Altra esperienza personale è quella di Giulio Milanesi, di Ac, che ha condiviso la gioia di «aver fatto proprio il Vangelo leggendolo con la penna in mano», secondo la modalità della Scuola della Parola. Una lettura coinvolgente che lo ha aiutato a passare, spiega, dalla prospettiva di un Dio per abitudine, della mia famiglia a quella di un Dio mio, personale, rispondendo nero su bianco alla domanda: “in che Dio credi?”». È possibile, chiede Giulio da «giovane musicista» portare questo coinvolgimento, questo senso di umanità scoperto nella lectio divina anche nella Messa e nella liturgia?

L’interiorità e la fede, d’altra parte, sono sempre interpellate dal mondo esterno. Allora, rivolgendosi all’Arcivescovo, Simone Colombo, dell’oratorio di Gorla Minore, ha manifestato il desiderio che, «in una società dove ogni cosa viene relativizzata, dove le scelte si basano su un semplice “secondo me”, la Chiesa mi dia certezze e mi testimoni con chiarezza cosa Gesù ha detto che è bene e cosa è male». Perché, ha aggiunto, «sono convinto che con questa consapevolezza sia possibile compiere un autentico discernimento vocazionale».

Nel dare indicazioni ai giovani la Chiesa non rischia però di essere troppo rigida? Non la pensa così Luca, ventenne studente di Scienze politiche: «Siamo consapevoli della profondità della fede, e penso che la Chiesa debba continuare a essere esigente proprio su quegli aspetti di profondità, di ricerca dell’interiorità. Non serve – aggiunge – sentirsi sempre in obbligo di avvicinare i giovani adottando o rincorrendo le dinamiche giovanili». Piuttosto, Luca vorrebbe che la Chiesa si esprimesse di più sui temi sociali: «Papa Francesco lo fa, ma mi piacerebbe che anche nelle nostre comunità ci si confrontasse a fondo su tematiche a volte tralasciate, ma che sono insite nel Vangelo».

E come parlare ai giovani che non vivono la fede? «È bello che ci sia questa volontà di dialogo – risponde Luca -. Ma questo passa sempre dalle cose concrete, dalla mia testimonianza di vita e da quella delle comunità».

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