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Approfondimenti/30

Spezzare il pane: cibo e comunione

Il gesto tipico del condividere, che dice unità, condiscendenza, amorevolezza

di Pierantonio TREMOLADA Vicario episcopale

20 Maggio 2013

«Spezzare il pane»: un’espressione molto suggestiva nella sua semplicità. Allude al gesto che si compie quando ci si nutre, perché il pane quando viene consumato dev’essere spezzato (è una questione di educazione). Allude però anche al gesto tipico del condividere: si spezza un pane affinché ognuno ne possa ricevere un pezzo. In quest’ultimo senso l’espressione dice comunione, unità, condiscendenza, amorevolezza.

Nel passo degli Atti degli Apostoli in cui si descrive la vita della prima comunità cristiana di Gerusalemme questa formula viene utilizzata per indicare il gesti tipicamente cristiano della celebrazione dell’Eucaristia, gesto che i discepoli di Gesù compivano nelle case. Un gesto misterioso, che gli altri non potevano comprendere, ma che i cristiani consideravano fondamentale, perché compiuto in obbedienza al comando stesso di Gesù: «Fate questo in memoria di me».

Nell’ultima cena, infatti, Gesù aveva preso il pane non lievitato tipico della cena pasquale e lo aveva spezzato affinché ognuno dei dodici seduti a tavola con lui potesse riceverne un pezzo e cibarsene. Ritroviamo qui il duplice significato di nutrimento e comunione. Si intuisce che questo è proprio il senso dell’Eucaristia, fondamento della comunità cristiana: il pane che è il corpo del Signore è spezzato per nutrire ognuno che crede e per creare unità tra coloro che credono.

Ci si nutre di Cristo stesso, entrando personalmente in comunione con lui a partire dal segreto della propria interiorità; ci si ritrova profondamente e misteriosamente uniti gli uni con gli altri partecipando insieme della sua stessa vita. «Chi mangia di me vivrà per me» aveva spiegato Gesù ai discepoli nella sinagoga di Cafarnao. E sempre a loro riuniti a tavola prima aveva raccomandato: «Rimanete in me; rimanete nel mio amore». Nella preghiera rivolta al Padre alla vigilia della sua passione aveva detto: «Che siano una cosa sola come lo siamo noi!».

Il terzo pilastro portante di ogni comunità cristiana, ricorda il nostro Arcivescovo, Angelo Scola, al n. 8 della lettera pastorale Alla scoperta del Dio vicino, è la celebrazione dell’Eucaristia e, più in generale, la celebrazione dei Sacramenti. Questo celebrare liturgico  inseparabile dalla preghiera, perché introduce nel segreto di una presenza redentrice e apre il cuore all’adozione. Quella che possiamo chiamare «l’economia sacramentale» consente al Cristo risorto di essere nostro contemporaneo e a noi di vivere «in lui e per lui». Non solo, dunque, averlo di fronte come un modello, ma condividere il suo modo di sentire e di pensare, soprattutto il suo odo di amare. Realtà che ci sovrastano ma che insieme ci consolano. Come dice bene san Paolo: «Quelle cose che mai occhio vide e mai orecchio udì, Dio le ha preparate per coloro che lo amano». 

da Avvenire, 11/05/2013