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Intervista

Una Chiesa giovane
che vive tra fede e solidarietà

Monsignor Maroun Laham, Vicario di Giordania per il Patriarcato di Gerusalemme, parla del suo Paese: i cristiani sono il 3%, di cui la metà cattolici, ma la convivenza con i musulmani è buona; la Caritas è in prima linea per accogliere profughi iracheni e siriani e le comunità offrono le loro sale

di Luisa BOVE Nostra inviata in Giordania

2 Dicembre 2014

La situazione in Medio Oriente è sempre esplosiva e le zone a rischio, per motivi politici, economici e religiosi, non vedono tregua. In questo difficile panorama la Giordania sembra un’oasi felice, anzi, negli ultimi 60 anni ha ospitato profughi provenienti dai Paesi vicini (Palestina, Iraq, Siria…) senza grandi difficoltà. Oggi i cristiani sono il 3%, quasi la metà i cattolici, di cui l’80% latini e il 20% melchiti, oltre a qualche protestante. Su una popolazione di 6 milioni e mezzo di abitanti i cristiani sono quindi 220-230 mila e i cattolici latini 65 mila. La convivenza tra cristianesimo e islam è pacifica, assicura monsignor Maroun Laham, Vicario di Giordania per il Patriarcato di Gerusalemme, «perché il musulmano è tranquillo nella sua fede».

In Giordania la Chiesa cattolica è in espansione?
Rispetto ad altri Paesi e ad altre Chiese viviamo molto bene, ma qui la parola “espansione” non si può usare perché l’appartenenza religiosa coincide con quella sociale e il proselitismo diretto da entrambe le parti è proibito. Si testimonia la fede attraverso la vita. Se una persona è cristiana, nasce e muore da cristiana; se è musulmana, nasce e muore da musulmana. Possiamo dire però che la Giordania vive un momento di stabilità e che la Chiesa è in pieno sviluppo: ci sono parrocchie molto vive, piene di giovani, l’Azione Cattolica, gli scout… Tre quarti delle vocazioni sacerdotali vengono dalla Giordania, il Seminario è a Gerusalemme e insieme formiamo la stessa Diocesi; la maggior parte dei seminaristi viene da qui, perché la Chiesa vive serena e le vocazioni fioriscono.

Che cosa ha significato per voi la visita di papa Francesco?
Papa Francesco è stato accolto molto bene e quando è tornato a Roma parlava solo della Giordania. C’è stata simpatia tra lui e il re, si sono trovati come padre e figlio. Tra noi arabi e lui latinoamericano i baci e gli abbracci sono stati frequenti. Il re è stato gentile e ha voluto guidare l’auto. Il Papa è un uomo che tutti qui amiamo: quando ha celebrato la Messa allo stadio erano presenti anche tanti musulmani e rappresentanti di diverse ambasciate: Iran, Pakistan, Cina, Stati Uniti… È stato un trionfo. Papa Francesco è molto vicino alla gente e questo ci fa piacere.

La Giordania ha sempre accolto i rifugiati, in particolare la Chiesa cattolica che cosa ha fatto?
Per i profughi iracheni e ora per i siriani, la Chiesa cattolica lavora con la Caritas giordana, che aveva già fatto un lavoro stupendo con i libanesi e con i palestinesi negli anni ’70. Nel 2013 la Caritas ha fatto 350 mila azioni di carità per un milione e 600 mila siriani. Gli operatori prestano aiuto senza guardare a religione, razza e sesso offrendo cibo, acqua, coperte, stufe, medicine… grazie agli accordi con quattro ospedali. L’anno scorso lo stesso ospedale italiano di Amman ha speso 2 milioni di dinari per le cure mediche dei siriani ammalati. Dal nord dell’Iraq continuano ad arrivare i siriani cacciati dall’Isis, il re ha sempre detto di accogliere anche chi è senza passaporto. Ma il problema non è tanto il cibo, l’acqua o le coperte…

E qual è allora?
L’alloggio. Per i siriani il governo ha organizzato campi, anche se in tanti sono stati accolti dalle famiglie, da parenti e amici. La stessa Caritas si è occupata dell’alloggio e la Chiesa cattolica (di rito latino e bizantino) ha messo a disposizione le sale parrocchiali dove sono stati ospitati gli iracheni cristiani giunti da Mosul e dalla pianura di Ninive. Ma i problemi sono tanti, innanzitutto perché le famiglie appartengono a un certo livello sociale, superiore a quello dei siriani, dunque la gente si sente umiliata a vivere in una sala… I locali più grandi sono stati suddivisi e ogni famiglia viveva in 4 metri quadrati. Purtroppo è tutto quello che abbiamo. Ancora oggi continuano ad arrivare 100-120 persone ogni giorno, ma noi non abbiamo più sale parrocchiali da mettere a disposizione, la Caritas tedesca ha aiutato la nostra Caritas giordana ad affittare appartamenti, ma ora non ce ne sono più e anche i soldi sono finiti. Inoltre per non far perdere l’anno scolastico ai ragazzi siriani e iracheni, le nostre scuole cattoliche restano aperte il pomeriggio per le lezioni.

E del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia che cosa pensa?
La maggior parte dei problemi esposti erano propri dell’Occidente, qui non siamo tutti dei Padre Pio, ma gli omosessuali per esempio non arrivano a dichiararsi o chiedere ufficialmente che sia riconosciuto il matrimonio, ci meraviglia anche pensare all’adozione di figli. Anche in Africa parlare di matrimonio tra omosessuali è una bestemmia, però i cristiani hanno 4 mogli perché c’è la poligamia e per loro è normale; hanno prima il matrimonio tribale e poi, solo quando nasce un figlio, il matrimonio religioso. Inoltre da noi ci sono anche casi di risposati, ma le percentuali sono quasi insignificanti. Noi vorremmo affrontare altri problemi sulla famiglia cristiana araba, quindi spero che nel Sinodo 2015 la Chiesa sia più cattolica nell’affrontare i temi e meno eurocentrica.

E quali sono le sfide di una famiglia che vive in Giordania o nei Paesi arabi?
La prima sfida riguarda la situazione politica, per esempio in Israele il diritto al matrimonio è limitato: se sei di Gerusalemme non puoi sposare una persona di Betlemme, se sei di Nazareth non puoi sposare chi è di Ebron. Questo è un problema serio, perché pone limiti all’amore tra le persone. Nei Paesi arabi e in Giordania c’è solo il matrimonio religioso, quindi un cattolico che vuole il divorzio va dagli ortodossi o dai musulmani per ottenerlo facilmente. Se poi sposa una musulmana e dopo due o tre mesi le cose non vanno bene e vuole tornare cristiano, non può. Questi sono problemi che voi non avete in Italia. Qui il matrimonio è solo religioso, quindi le Chiese cristiane in tutto il Medio Oriente non benedicono mai un matrimonio misto. Sono rarissimi e noi li sconsigliamo. Il 95% di questi matrimoni fallisce, perché passata la luna di miele, c’è la vita, la famiglia, la situazione della donna, l’educazione dei figli… e le posizioni sono molto diverse.

Negli ultimi 60 anni la Giordania ha accolto e rispettato i cristiani. Temete che l’Isis possa arrivare anche da voi?
Timore no, ma un po’ di preoccupazione c’è. Gli uomini dell’Isis sono in Iran, Siria e probabilmente in Libano, chi gli impedisce di arrivare in Giordania? Finora non sono arrivati perché il re, in modo molto intelligente, ha saputo tenere un certo equilibrio. Non sono un profeta, ma penso che il pericolo che qui arrivi l’Isis sia lontano. Primo, perché ultimamente è sulla difensiva, lo attaccano da ogni parte, e non dovrebbe aprire un altro fronte. Secondo, la Giordania è un paese povero, privo di petrolio, di gas e di acqua (siamo il quarto Paese più povero al mondo di acqua), quindi non è un’attrazione. Terzo, l’Isis è al nord della Siria e dell’Iraq, per arrivare da noi deve attraversare 400 chilometri di deserto. Quarto, ma forse è l’aspetto più importante, gli Stati Uniti non permetteranno che l’Isis arrivi alle frontiere di Israele, se dovesse entrare in Giordania interverrebbero immediatamente.