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Repubblica Centrafricana

Una suora coraggiosa
resiste nella città fantasma

«Intorno si vedono solo abitazioni bruciate», racconta suor Angelina Santagiuliana, rimasta sola nella missione di Bouca. La pace tarda ad arrivare, la Francia proroga la sua missione militare e l’Onu lancia nuovi allarmi umanitari

di Davide MAGGIORE

3 Marzo 2014
People leave the Damara, the last strategic town between the rebels from the SELEKA coalition and the country's capital Bangui, on January 2, 2013, as the commader of the regional African force FOMAC warned rebels against trying to take the town, saying it would "amount to a declaration of war." The rebels, who began their campaign a month ago and have taken several key towns and cities, have accused Central African Republic leader Francois Bozize of failing to honor a 2007 peace deal.  AFP PHOTO/ SIA KAMBOU        (Photo credit should read SIA KAMBOU/AFP/Getty Images)

«Bouca è lo spettro di una città!». Suor Angelina Santagiuliana, della congregazione delle Figlie di Maria missionarie, parla da questa località nel nordovest della Repubblica Centrafricana, in cui, prima della guerra, vivevano circa 15 mila persone. A settembre, però, racconta  la religiosa, «nel centro città sono state incendiate circa un migliaio di case e intorno alla missione si vedono solo abitazioni bruciate: sembra la scena di un film, ma è una situazione reale». «La gente non riesce a vivere», anche se dai primi di febbraio non ci sono più scontri, testimonia suor Angelina. «I miliziani della coalizione Seleka sono partiti, e con loro è andata la comunità musulmana», spiega, mentre a Bouca è arrivato un contingente di soldati ciadiani della missione internazionale Misca.

Situazione ancora precaria

Se ci si allontana dal centro, però, le cose cambiano: «L’altra città della zona, Batangafo – riferisce ancora la missionaria – a 100 chilometri da qui, non ha ancora un contingente della Misca che faccia i controlli e quindi è diventata il punto di snodo di tutti i guerriglieri Seleka della zona. Domenica 23 febbraio ci sono stati degli scontri a 13 chilometri da Bouca e tre persone sono state uccise». In più, nei villaggi, «siccome la Misca dice che non ha ordini che permettano di uscire per più 5 chilometri, i gruppi armati fanno quello che vogliono». L’area, infatti, ha sofferto anche per le azioni della milizia “anti-balaka”, sorta in contrapposizione a Seleka e ai mercenari ciadiani e sudanesi presenti nei suoi ranghi. «Ogni volta che i Seleka colpivano, gli anti-balaka li attaccavano poi sulle strade periferiche o nei villaggi, non appena lasciavano la città», ricorda suor Angelina. Gli scontri hanno provocato decine di morti: «Ancora non conosciamo il numero preciso», dice la missionaria, calcolando che solo «nelle fosse comuni ne sono stati sepolti circa 120, senza contare quelli che sono stati seppelliti dalle famiglie». «Anche i campi sono stati incendiati, e il raccolto bruciato o rubato: la situazione umanitaria è grave», prosegue la suora, che dal 9 settembre fino a metà febbraio è rimasta sola nella missione. «Il parroco è stato minacciato di morte, ha dovuto fare 300 chilometri a piedi per mettersi in salvo nella capitale – spiega – e solo 15 giorni fa è potuto tornare a casa».

Emergenza umanitaria

Anche suor Angelina ha ricevuto minacce, ma non di morte, e dunque ha deciso di rimanere con le migliaia di persone che, per sfuggire ai combattimenti, si erano rifugiate nella missione: «Ancora a Natale – ricorda – erano 4.500, ora ne sono rimasti 500». Adesso il compito più urgente è quello del loro reinserimento, senza contare che Bouca è solo uno dei tanti centri dove la guerra ha lasciato strascichi. Altri allarmi arrivano dall’Onu: da dicembre 2012, oltre 700 mila persone hanno dovuto abbandonare le loro case e quasi 290 mila si sono rifugiate nei Paesi vicini. «Stiamo affrontando una crisi regionale che va ben oltre le frontiere della Repubblica Centrafricana», ha dichiarato Denise Brown, direttrice per l’Africa occidentale del programma alimentare mondiale, ricordando che i 15mila nuovi arrivi nelle ultime settimane – «soprattutto donne e bambini» – stanno mettendo in crisi la capacità di accoglienza degli Stati confinanti. Le Nazioni Unite hanno lanciato anche un piano da 26 milioni di dollari, per promuovere la coesione sociale attraverso opportunità lavorative per 350mila persone nel centro e nell’ovest del Centrafrica.

Prolungato l’intervento francese

Altrove, però, ha ricordato il portavoce dell’Unhcr Adrian Edwards, più di 15 mila persone «corrono un grave rischio di essere attaccati» dai gruppi armati. L’insicurezza ancora diffusa nel Paese ha anche spinto i deputati francesi a votare, il 25 febbraio, il prolungamento del mandato per i 2000 uomini della missione militare Sangaris, che affiancano i 6.000 soldati della Misca. Tra le loro priorità, anche quella di evitare «ogni tentazione di partizione» del Paese: lo chiede il presidente transalpino François Hollande, arrivato a Bangui il 28 febbraio. Ad accoglierlo sono state però le notizie degli scontri che, nei giorni precedenti, avevano provocato in città almeno 11 morti, portando il totale da inizio dicembre ad oltre 1250, tra cui 19 soldati della Misca.