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Venerdì 5 agosto SULLE RIVE DEL LAGO DI KARIBA

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14 Ottobre 2005

L’alba sul fiume Zambesi non l’ho vista nella sua totalità perché c’era un appuntamento troppo intenso: la Messa alle ore 6.20 nella cappellina delle Suore, tre italiane e tre indiane. Canti soavi, lingua inglese, nitidezza dei paramenti, aria spirituale leggera: proprio ciò che ci vuole ogni mattina per riempirsi di Gesù e del suo Vangelo, per portarlo nel cuore per tutta la giornata e donarlo agli altri nelle corsie dell’ospedale. Un saluto al lebbroso, quattro parole con il dottor Paolo Marelli, una foto con Massimo l’intramontabile aiutante, una colazione con banane vere e poi via verso le missioni della vallata, una dopo l’altra a 60 chilometri di intervalli. 

La parola “fame” la sento sulla bocca di un uomo e la vedo nel gesto di una donna che indica la pancia vuota. Le piogge sono state intermittenti, si seminava con speranza e il sole bruciava tutto. Pioveva e si tornava a seminare, ma il tempo giusto per la crescita non c’era più: questa è la dura vita del contadino nella savana sabbiosa e ricca di polvere rossa. Vita però si trova sempre anche vicino alla cappella di Simamba dove c’è un pozzo e donne che attingono acqua scambiandosi parole e sorrisi. Un trattore è lì, appoggiato alla chiesa, pronto ad aiutare i contadini della zona appena torneranno le piogge.

Mi accompagna fratel Oreste conosciuto per i suoi lavori in muratura e per la sua sconfinata bontà. Trovo i missionari e le suore di seconda generazione, rispetto alla mia, tutti davvero serenamente impegnati nel campo spirituale e materiale per la loro gente. Nella valle i cambiamenti sono lenti, gli alberi enormi di baobab seguono sempre i loro ritmi, le automobili sono rare, l’elettricità una realtà lontana anche se proprio lì c’è la diga di Kariba e la centrale elettrica che serve tre nazioni. Hanno ragione o torto ad essere così lenti, sono più sereni o angosciati di noi, è meglio una capanna o un grattacielo? Sono domande da un milione d’euro!

Vedo l’immenso lago azzurro di Kariba, vedo bambini tuffarsi, pescatori pronti a uscire al tramonto e turisti che arrivano dalla città per gustare un weekend in barca. Difficoltà politiche non favoriscono l’attraversamento della frontiera con lo Zimbabwe e anch’io rinuncio ad andare a vedere la diga, capolavoro degli italiani della Impregilo negli anni 1960 – 1970.

Sul televisore in casa di padre Maurizio a Siavonga scorrono le immagini ancora fresche del passaggio del Cardinale Dionigi Tettamanzi (photogallery/1 – photogallery/2), la sua Messa con il saluto in tonga e la sosta davanti alla lapide dei lavoratori italiani morti nel costruire la diga.

C’era un “ragazzo” ad aspettarmi ansioso da giorni e giorni. Mi dicono il nome “Mumba” ma la memoria sembra tradirmi: «Magari lo riconosco, aspettiamo». E come se lo conosco, ha solo cambiato nome (qui si può tranquillamente, senza rischi penali) è Patrick Chewe, i suoi figli sono stati presentati come miei “nipotini” in una fotografia con mio papà in Africa, nel libro "Milano-Kafue, andata e ritorno".

E’ vera gioia il ritrovarsi, il guardarsi in faccia, notando le diversità che il cammino degli anni ha fatto sui nostri volti. Lui è uno dei quattro aiutati a prendere la patente di guida ed è ora l’autista ufficiale della ditta della Diga. E i tuoi genitori, e tua moglie e la tua fede… Sono domande che io faccio a lui, mentre rispondo alle sue sulla mia salute, le mie parrocchie… conversazioni da vecchi amici. Mi lascia il numero del suo cellulare, magari un giorno lo chiamo dall’Italia!

Ma il tempo scorre veloce e non voglio perdere la visita alla missione di Lusitu, dove nelle estati trascorse là sudavo e sudavo di giorno e di notte trapassando anche i materassi con il mio sudore. La missione è lì con don Giuseppe e le suore, apparentemente ferma nella sua polvere, tra le sue capanne sparse nell’immensa vallata, ma sempre con il lume acceso nella sua chiesa. Qui posso parafrasare con lo scrittore Arrigo Levi: “Cristo si è fermato a Lusitu!”.

Ne ho fatti di chilometri ma riesco a gustare il tramonto tra gli alberi della savana, la cena con padre Camillo, la compieta in inglese e il sonno con l’accompagnamento sonoro degli ippopotami nel fiume Zambesi che scorre 20 metri sotto casa.