Sirio 26-29 marzo 2024
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Intervista

«Vivere l’esperienza dello sport
alla maniera cristiana»

Sui temi della Nota pastorale dell'Arcivescovo "La comunità educante”, la testimonianza di Paolo Vimercati, presidente dell’associazione sportiva dell’oratorio San Giovanni Bosco di Giussano

di Filippo MAGNI

13 Luglio 2014

Due squadre di volley, otto di calcio maschile e una femminile per un totale di 150 ragazzi seguiti da 20 adulti: allenatori, dirigenti, accompagnatori. E una recentissima (del mese scorso) affiliazione con l’Arsenal soccer school, realtà legata alla celeberrima squadra biancorossa londinese.

È la fotografia dell’Osgb Giussano, associazione sportiva dell’oratorio San Giovanni Bosco. Il ritratto numerico non dice però la sua caratteristica principale: l’essere parte integrante della comunità educante parrocchiale. «Diamo molta importanza allo sport in oratorio perché, oltre alle ore di catechismo, ai giochi della domenica, alle vacanze estive possiamo dare la stessa impronta educativa e di valori durante lo svolgimento dell’attività sportiva», spiega Paolo Vimercati, 29 anni, tempo fa piccolo giocatore e oggi presidente della società.

Nella sua Nota pastorale La comunità educante il cardinale Scola indica la frammentazione come causa delle difficoltà dei ragazzi. Lo rilevate anche nella vostra realtà?
All’Osgb giocano ragazzini dai 6 ai 15 anni, li alleniamo lungo un arco di tempo ampio. Li cresciamo e notiamo in loro gli effetti della frammentazione, che diventano sempre più evidenti specialmente nei primi anni delle superiori, quando il loro comportamento cambia spesso in modo netto.

E lo sport che ruolo ha nella loro educazione?
Fondamentale. Se insegnato nel modo corretto, è una possibilità in più di far passare i valori oratoriani, far crescere i nostri ragazzi con lo stile cristiano. Altrimenti diventa anch’esso luogo di frammentazione.

In che modo lo spirito dell’oratorio passa attraverso il campo?
Innanzitutto sottolineando l’importanza dei valori sportivi: l’impegno, la costanza, il rispetto di se stessi e degli avversari. E poi per le relazioni che sa costruire: non solo tra compagni di squadra, ma anche tra le famiglie.

Come favorite la creazione di legami, di una trama di rapporti?
Per esempio coinvolgendo i genitori, che al termine di ogni partita preparano un rinfresco per entrambe le squadre, noi e gli avversari. È un modo per fare gruppo, insegnare la fraternità e aumentare la confidenza di papà e mamme nei confronti di una struttura, l’oratorio, che non tutti frequentano o conoscono. Anche un gesto semplice, come organizzare la cena di fine anno in oratorio anziché in un ristorante della città, è un modo per far sentire ai ragazzi che il loro ambiente educativo è condiviso dai genitori. E magari fa sì che la famiglia trascorra la domenica seguente in oratorio, invece che al centro commerciale.

Il legame tra associazione e parrocchia sembra essere molto stretto…
Esatto, anche perché l’Osgb è nata con l’oratorio: noi ci sentiamo il volto nella Chiesa in ambito sportivo. Il nostro obiettivo è educare allo sport, alla vita, a Gesù. Ciò non significa organizzare lezioni di catechismo durante gli allenamenti, ma far vivere ai ragazzi l’esperienza dello sport “alla maniera cristiana” perché poi vivano così anche al di fuori del campo da calcio.

Gli allenatori hanno coscienza del loro ruolo nella comunità educante?
Molti di loro hanno svolto diverse attività in parrocchia, sono cresciuti in oratorio e quindi hanno consapevolezza del loro ruolo di educatori. Ma sentiamo lo stesso il bisogno di dircelo. Di condividere momenti forti dell’anno insieme agli altri educatori, insieme ai sacerdoti, per ricordarci il nostro ruolo esemplare nei confronti dei ragazzi. È un compito importante e rischioso: per i giovani calciatori l’allenatore è un modello da seguire. E non è la stessa cosa se fa giocare solo i più forti, oppure se fa scendere in campo tutti, ciascuno secondo le proprie possibilità.

Sul vostro sito vi presentate scrivendo che vi ponete «consapevolmente in una prospettiva educativa»: vi sentite un perno della comunità educante?
Diventare una vera comunità educante credo sia un percorso, non un traguardo. Da questo punto di vista ci sentiamo incamminati sulla strada giusta, ma ogni giorno è necessario fare qualche passo in più.