Share

Riflessione

Dio e la fede nel decalogo dell’educatore

La parola "Dio" diventa sempre più inutile nel nostro mondo occidentale. Un tempo era la più macchiata, maltrattata, bestemmiata, oggi è inutile, rifiutata, accantonata

Vittorio CHIARI Redazione Diocesi

23 Luglio 2009

Nessuna parola “è stata talmente insudiciata e lacerata. Generazioni di uomini, scrive Martin Buber in “L’eclisse di Dio”, hanno scaricato il peso della loro vita angustiata su questa parola e l’hanno schiacciata al suolo; e ora giace nella polvere e porta tutti i fardelli. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con le loro divisioni in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea e il nome di Dio porta tutte le loro impronte digitali e il loro sangue”. Nessuna parola è stata così esiliata dalla cultura odierna per cui si stenta a sollevarla dalla terra e collocarla al posto giusto, che le compete. Per il cardinal Martini è Dio che educa il suo popolo! Non si può ignorare questa realtà come fanno tanti esperti dell’educazione con i loro libri e interventi sui mass-media, per i quali la Chiesa è solo “un’accozzaglia di bigotti, di arrivati, di datori di consigli, di beoti”.
Nessuna parola “è stata talmente insudiciata e lacerata. Generazioni di uomini, scrive Martin Buber in “L’eclisse di Dio”, hanno scaricato il peso della loro vita angustiata su questa parola e l’hanno schiacciata al suolo; e ora giace nella polvere e porta tutti i fardelli. Generazioni di uomini hanno lacerato questo nome con le loro divisioni in partiti religiosi; hanno ucciso e sono morti per questa idea e il nome di Dio porta tutte le loro impronte digitali e il loro sangue”. Nessuna parola è stata così esiliata dalla cultura odierna per cui si stenta a sollevarla dalla terra e collocarla al posto giusto, che le compete. Per il cardinal Martini è Dio che educa il suo popolo! Non si può ignorare questa realtà come fanno tanti esperti dell’educazione con i loro libri e interventi sui mass-media, per i quali la Chiesa è solo “un’accozzaglia di bigotti, di arrivati, di datori di consigli, di beoti”. Nei libri e sui giornali Leggevo in questi giorni un decalogo per crescere i figli. Ne faceva pubblicità il “Corrierone”: dieci punti, dove la parola Dio, educazione religiosa, non appare neppure di striscio o come dubbio. Tra le mani anche un libro dello psicologo più in vista alla televisione e molto gettonato in Italia, Paolo Crepet: “La gioia dell’educare”. “Educare, scrive, vuol dire tirar fuori da ognuno il talento che ha”. In oltre 400 pagine, non esiste la parola “Dio”, parla due volte di oratori parrocchiali, per dirne che stentano a vivere e cita Francesco su un punto interessante, suggeritogli da un frate di Assisi: “Mi parlava dell’insegnamento di Francesco a vivere la vita attraverso l’accompagnamento: accompagnare, diceva il giovane frate, significa mangiare pane assieme e non c’è nulla di più straordinario e rassicurante dell’idea di condividere del pane e una tavola per crescere, per progettare la vita”. Ma di Dio, nessun accenno. Senza il sapore divino Eppure sarebbe stato arricchente il suo narrare sulla gioia di educare, se avesse richiamato il mangiare insieme di Gesù Cristo durante il suo passare per le strade della Palestina, che si conclude a Gerusalemme, nella Cena dove, cito parole di Crepet, “mangiare pane assieme significa narrare all’altro, raccontarsi, trovare la forza di costruire una casa comune nella differenza, un amore senza possesso, un’appartenenza senza dipendenza, un affetto senza fughe, senza vuoto, senza il cinico e narcisistico ricorso all’abbandono per dire a noi stessi che esistiamo”. Scrivendo questo, Crepet non aveva alcun riferimento al discorso di Cristo nell’Ultima Cena, iniziato con una lavanda dei piedi, continuato con l’istituzione dell’Eucaristia, avvolto dalla Tenerezza di un Dio che ama fino all’ultimo respiro. Le sue erano soltanto parole d’uomo. Vere ma senza il “sapore di Dio”, che è entrato in questo mondo e non ne è mai uscito, non se n’è andato in pensione ma è vivo in mezzo a noi. Ma la ragione non basta Quando cercavo di spiegare ai miei “barabitt” i motivi per non rubare o perdonare o vincere la violenza o la fuga dalla vita, attraverso le sostanze, ho sempre trovato difficoltà a convincerli con argomenti di sola ragione, di esperienza umana personale. L’invocare argomenti di fede, la testimonianza di Cristo o dei santi della Chiesa, per giovani di altre religioni, i loro libri sacri, mi ha reso più convincente, più credibile: non parlavo solo a nome mio ma di Qualcuno, che aiutava me e i ragazzi a sentirci in comunione fraterna, perché figli di Dio. Il fatto religioso non è sfiducia nelle scienze dell’educazione neppure condanna di chi non ha una fede, ritenendolo incapace di educare. Sono stati scritti bellissimi libri sull’educare da non credenti o da chi ritiene inutile Dio! La Fede può dare base sicura a tante nostre argomentazioni, al senso delle regole, dell’amore, della vita: rende tutto più prezioso, perché ha uno sguardo sull’Oltre, sull’Eterno, che il Figlio di Dio, risorgendo, ha aperto a tutta l’umanità. E’ un dono dello Spirito, da accogliere nella libertà.