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Un poetico augurio per il 2009

I ragazzi sono gabbiani: immobili, ad ali aperte, sospesi nel cielo, sono in attesa di chi dia loro la spinta per il volo

4950 - per_appuntamenti Redazione Diocesi

23 Novembre 2009

di Vittorio CHIARI

L’anno nuovo si apre con due emergenze, indicate dal Papa e riprese dal nostro Cardinale: l’emergenza economica e quella educativa. Non so quali delle due sia la più drammatica! Per me, educatore, è l’educativa, anzi, ritengo, forse sbagliando per deformazione professionale, che l’emergenza economica – ritornare più poveri e più essenziali – possa aiutare quella educativa.

Dobbiamo esserne convinti, per primi, noi adulti: famiglie ed educatori! Da qui nasce il mio augurio a quanti si prendono a cuore i ragazzi e i giovani, scegliendo di lavorare con loro e con loro in questo nuovo anno.
Li penso un po’ tutti poeti perché con i ragazzi e le ragazze, con i giovani d’oggi, se non si è poeti, se non si vede il buono in loro, se non li si trasfigura, diventa duro vivere.

L’augurio è una poesia di Mario Luzi, che esprime bene il clima giusto da costruire per rispondere alle loro domande ed esigenze, senza cadere in inutili pessimismi o in pregiudizi, che compromettono il nostro rapporto con loro: “Vorrei fossimo uniti / tutti insieme,/ figli miei,/ per essere una roccia / su cui posare il piede/ chi arriva e prendere slancio per il volo. / Perché questo ci è chiesto,/ figli miei,/ di crescere nel tempo”.

Uniti tutti insieme saremo, per i ragazzi e ragazze, roccia, punto di riferimento e non sabbie mobili, dove il piede affonda e chi vi arriva non può prendere il volo. Siamo chiamati a crescere, per essere novità per loro, con la nostra parola, i nostri progetti, che possono aiutarli a crescere, trovando in noi lo stile, il modello, la roccia su cui “posare il piede… e prendere slancio per il volo”.
I ragazzi sono spesso come dei gabbiani: immobili, ad ali aperte, sospesi nel cielo, sono in attesa di chi dia loro la spinta per il volo.
La spinta è l’ottimismo, che permette di scorgere in loro il gabbiano e non l’anatroccolo nero; la spinta è il nostro lavorare “come squadra”, in famiglia, nella scuola, nell’oratorio, per avere la sicurezza di non andare in tilt, di fronte alle inevitabili difficoltà che ogni anno ci riservano.

“Lentamente muore – dice un poesia giorno attribuita erroneamente e a Pablo Neruda – chi diventa schiavo dell’abitudine, / ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi…/ lentamente muore chi abbandona un progetto/ prima ancora di iniziarlo… Evitiamo la morte a piccole dosi,/ ricordando sempre che essere vivo/ richiede uno sforzo/ di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare”.

Occorre essere vivi per non ingrigire la nostra esperienza: i giovani hanno bisogno di noi e noi abbiamo bisogno di togliere la polvere che inevitabilmente si posa sul modo di stare con loro. Con il passare del tempo, rischia di diventare una ragnatela, che impiglia i loro e nostri sogni. Forse abbiamo bisogno di ritrovare, la sapienza di Dio. Ma dove trovarla?
Se lo domandava anche Giobbe al capo 28, quando rifletteva sulle grandi opere che l’uomo sapeva fare: “Contro la selce l’uomo/ porta la mano,/ sconvolge le montagne;/ nelle rocce scava gallerie/ e su quanto è prezioso posa l’occhio:/ scandaglia il fondo dei fiumi/ e quel che vi è nascosto/ porta alla luce./ Ma la sapienza da dove si trae?/ E il luogo dell’intelligenza dov’è?”.

La Sapienza la troviamo nella Parola di Dio, raccolta nella Bibbia, una miniera di insegnamenti per chi vuole educare, lasciandosi guidare dallo Spirito Santo che è il Dio amore. E’ Lui il maestro di Sapienza che ci suggerisce quanto di bello, di buono, di vero, possiamo fare per i nostri giovani, liberandoli dalle false gioie, dai falsi paradisi, dalle gabbie, che troppo spesso li imprigionano.

Si richiede una autentica passione d’amore: “Nella vita, proprio come nella tavolozza del pittore, non c’è che un solo colore capace di darle significato: il colore dell’amore” (Chagall).