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Cinema

A Venezia ha vinto l’emozione

Monsignor Dario Viganò analizza il criterio della giuria nell'assegnazione dei premi

a cura di Vincenzo CORRADO Redazione

14 Settembre 2010

Somewhere di Sofia Coppola ha vinto il “Leone d’Oro” alla 67ª Mostra del cinema di Venezia. La Giuria internazionale, presieduta da Quentin Tarantino, ha assegnato il “Leone d’Argento” per la migliore regia ad Alex de la Iglesia per il film Balada triste de trompeta, il “Premio Speciale” della Giuria a Essential Killing di Jerzy Skolimowski, interpretato da Vincent Gallo, che ha ottenuto la “Coppa Volpi” per il migliore attore. La “Coppa Volpi” per la migliore interpretazione femminile è stata assegnata ad Ariane Labed per il film Attenberg di Athina Rachel Tsangari, mentre Mila Kunis (l’antagonista di Nathalie Portman in Black Swan di Darren Aronofsky) ha ottenuto il “Premio Marcello Mastroianni”, assegnato ogni anno all’attore o all’attrice emergente. Delusione per il cinema italiano che, con quattro film in concorso, è rimasto a mani vuote. Abbiamo chiesto un commento a mons. Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e membro a Venezia della giuria della sezione “Controcampo italiano”.

Mons. Viganò, qual è il suo commento per questa edizione della Mostra del cinema?
Venezia rappresenta come sempre una vetrina che ci permette di cogliere le sfaccettature e le linee di tendenza del cinema che oggi si può definire così: colluso col reale, sensibile all’estetica, problematico.

Cosa ne pensa dei film in concorso?
Difficile esprimere un’opinione unitaria su una ragnatela di tendenze, prospettive, autori, generi ed epoche storiche. È più semplice, oltre che più corretto, parlare del concorso dedicato al cinema italiano, “Controcampo”, che ho seguito come giurato insieme a Valerio Mastandrea e Susanna Nicchiarelli. A partire dal vincitore, 20 sigarette, esemplare processo di assimilazione della fiction al reale e viceversa, possiamo dire che la docu-fiction è oggi il vero macrogenere: pensiamo a La pecora nera di Ascanio Celestini e chiediamoci quanto di quello che vediamo è finzione. D’altra parte, il reale è tornato a funzionare da paradigma per lo sguardo. Decifrarlo significa ridiscuterne le premesse, interrogare il passato, come hanno fatto Mario Martone (Noi credevamo) e Gianfranco Pannone (Ma che storia).

E dei premi assegnati?
In Sala Grande, nella cerimonia di premiazione, Quentin Tarantino, presidente della giuria, ha ricordato la capacità di emozionare come criterio seguito per assegnare il premio e più volte ha ricordato la decisione all’unanimità. Avremmo preferito una decisione che fosse stata magari l’esito di una vivace discussione!

Per la quarta volta nelle ultime sei edizioni ha vinto un film americano. Ha ancora una volta prevalso la “logica di potere”?
È difficile fare dietrologie. Certo, per quanto mi riguarda, posso dire che molti film non americani mi hanno coinvolto decisamente di più.

L’Italia con i suoi quattro film in concorso è rimasta a mani vuote. Un brutto segnale per il nostro cinema?
Ci sono “Leoni d’oro” che, dopo pochi mesi, sono caduti nell’oblio, così come piccoli film che hanno avuto una vita personale e passionale. Non credo che il cinema italiano, per il solo fatto che non abbia ricevuto alcun premio (fatta eccezione per l’opera prima di 20 sigarette) debba rassegnarsi a un destino miserabile. Un’opera come La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo vuole addirittura ripensare lo statuto rappresentativo del cinema stesso. Il fatto che il film nasca dall’omonimo libro non attesta semplicemente che siamo dinanzi a una crisi di sceneggiature originali, su cui riflette La passione di Carlo Mazzacurati, ma che ci possono essere lavori dove l’etica è proprio l’estetica.

La Fondazione Eds, come ogni anno, era presente a Venezia con un cartellone ricco di appuntamenti. Quale lo spirito che anima le diverse iniziative?
Come sempre il nostro obiettivo è abitare i territori dell’umano con professionalità e facendo emergere uno stile che ha il profumo del Vangelo. A tal riguardo, tra le diverse iniziative, basta pensare al “Premio Robert Bresson”, attribuito al regista che abbia dato una testimonianza significativa del difficile cammino verso la ricerca del significato spirituale della vita. Quest’anno il premio è stato assegnato a Mahamat-Saleh Haroun, originario del Ciad, che attraverso le sue opere continua a raccontarci la tragedia di un Paese sospeso sul baratro dell’autodistruzione, eppur capace ancora di sollevare gli occhi per un ultimo, umanissimo appello alla speranza.

Quali saranno le prossime iniziative della Fondazione?
L’appuntamento importante è il “Tertio Millennio Film Fest”, che si terrà a Roma dal 6 al 12 dicembre. Giunto alla quattordicesima edizione, il “Tertio Millennio” ha aperto, in Italia, quella che pare essere la stagione del risveglio d’attenzione verso lo spirituale. Il Festival, infatti, cerca nelle produzioni mondiali film e documentari attenti all’umano profondo che diviene spirituale. L’interesse di “Tertio Millennio” sta nel dare parola (e visione) a quel cinema che abita con passione i territori dell’umano; a quel cinema che sa non chiudere le storie, ma aprirle alla dimensione spirituale. Somewhere di Sofia Coppola ha vinto il “Leone d’Oro” alla 67ª Mostra del cinema di Venezia. La Giuria internazionale, presieduta da Quentin Tarantino, ha assegnato il “Leone d’Argento” per la migliore regia ad Alex de la Iglesia per il film Balada triste de trompeta, il “Premio Speciale” della Giuria a Essential Killing di Jerzy Skolimowski, interpretato da Vincent Gallo, che ha ottenuto la “Coppa Volpi” per il migliore attore. La “Coppa Volpi” per la migliore interpretazione femminile è stata assegnata ad Ariane Labed per il film Attenberg di Athina Rachel Tsangari, mentre Mila Kunis (l’antagonista di Nathalie Portman in Black Swan di Darren Aronofsky) ha ottenuto il “Premio Marcello Mastroianni”, assegnato ogni anno all’attore o all’attrice emergente. Delusione per il cinema italiano che, con quattro film in concorso, è rimasto a mani vuote. Abbiamo chiesto un commento a mons. Dario Edoardo Viganò, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo e membro a Venezia della giuria della sezione “Controcampo italiano”.Mons. Viganò, qual è il suo commento per questa edizione della Mostra del cinema?Venezia rappresenta come sempre una vetrina che ci permette di cogliere le sfaccettature e le linee di tendenza del cinema che oggi si può definire così: colluso col reale, sensibile all’estetica, problematico.Cosa ne pensa dei film in concorso?Difficile esprimere un’opinione unitaria su una ragnatela di tendenze, prospettive, autori, generi ed epoche storiche. È più semplice, oltre che più corretto, parlare del concorso dedicato al cinema italiano, “Controcampo”, che ho seguito come giurato insieme a Valerio Mastandrea e Susanna Nicchiarelli. A partire dal vincitore, 20 sigarette, esemplare processo di assimilazione della fiction al reale e viceversa, possiamo dire che la docu-fiction è oggi il vero macrogenere: pensiamo a La pecora nera di Ascanio Celestini e chiediamoci quanto di quello che vediamo è finzione. D’altra parte, il reale è tornato a funzionare da paradigma per lo sguardo. Decifrarlo significa ridiscuterne le premesse, interrogare il passato, come hanno fatto Mario Martone (Noi credevamo) e Gianfranco Pannone (Ma che storia).E dei premi assegnati?In Sala Grande, nella cerimonia di premiazione, Quentin Tarantino, presidente della giuria, ha ricordato la capacità di emozionare come criterio seguito per assegnare il premio e più volte ha ricordato la decisione all’unanimità. Avremmo preferito una decisione che fosse stata magari l’esito di una vivace discussione!Per la quarta volta nelle ultime sei edizioni ha vinto un film americano. Ha ancora una volta prevalso la “logica di potere”?È difficile fare dietrologie. Certo, per quanto mi riguarda, posso dire che molti film non americani mi hanno coinvolto decisamente di più.L’Italia con i suoi quattro film in concorso è rimasta a mani vuote. Un brutto segnale per il nostro cinema?Ci sono “Leoni d’oro” che, dopo pochi mesi, sono caduti nell’oblio, così come piccoli film che hanno avuto una vita personale e passionale. Non credo che il cinema italiano, per il solo fatto che non abbia ricevuto alcun premio (fatta eccezione per l’opera prima di 20 sigarette) debba rassegnarsi a un destino miserabile. Un’opera come La solitudine dei numeri primi di Saverio Costanzo vuole addirittura ripensare lo statuto rappresentativo del cinema stesso. Il fatto che il film nasca dall’omonimo libro non attesta semplicemente che siamo dinanzi a una crisi di sceneggiature originali, su cui riflette La passione di Carlo Mazzacurati, ma che ci possono essere lavori dove l’etica è proprio l’estetica.La Fondazione Eds, come ogni anno, era presente a Venezia con un cartellone ricco di appuntamenti. Quale lo spirito che anima le diverse iniziative?Come sempre il nostro obiettivo è abitare i territori dell’umano con professionalità e facendo emergere uno stile che ha il profumo del Vangelo. A tal riguardo, tra le diverse iniziative, basta pensare al “Premio Robert Bresson”, attribuito al regista che abbia dato una testimonianza significativa del difficile cammino verso la ricerca del significato spirituale della vita. Quest’anno il premio è stato assegnato a Mahamat-Saleh Haroun, originario del Ciad, che attraverso le sue opere continua a raccontarci la tragedia di un Paese sospeso sul baratro dell’autodistruzione, eppur capace ancora di sollevare gli occhi per un ultimo, umanissimo appello alla speranza.Quali saranno le prossime iniziative della Fondazione?L’appuntamento importante è il “Tertio Millennio Film Fest”, che si terrà a Roma dal 6 al 12 dicembre. Giunto alla quattordicesima edizione, il “Tertio Millennio” ha aperto, in Italia, quella che pare essere la stagione del risveglio d’attenzione verso lo spirituale. Il Festival, infatti, cerca nelle produzioni mondiali film e documentari attenti all’umano profondo che diviene spirituale. L’interesse di “Tertio Millennio” sta nel dare parola (e visione) a quel cinema che abita con passione i territori dell’umano; a quel cinema che sa non chiudere le storie, ma aprirle alla dimensione spirituale.